Perversione e Mente Perversa: Significato, Meccanismi Psicologici e Modelli Psicoanalitici

La ​​perversione è molto più di una semplice devianza: è un sofisticato meccanismo psicologico legato al bisogno di controllo e alla negazione dell'altro come soggetto autonomo. La mente perversa si costruisce attraverso dinamiche complesse che spesso affondano le radici nell'infanzia e nei modelli di attacco. Il perverso , attraverso la manipolazione e la seduzione, cerca di esercitare un potere sulla psiche altrui, utilizzando strategie relazionali che oscillano tra fascinazione e dominio. In questo articolo esploriamo il significato della perversione, il suo rapporto con il narcisismo patologico e le possibilità di intervento terapeutico. È possibile cambiare una mente perversa? La psicoterapia può realmente incidere su queste strutture psichiche? Scopri tutto ciò che c'è da sapere sul mondo della perversione e sulle sue implicazioni psicologiche e relazionali.

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    La perversione è un tema complesso e spesso frainteso, che si colloca tra la psicologia clinica e la psicoanalisi. Non si tratta solo di comportamenti sessuali atipici, ma di un intero modo di funzionare della mente, caratterizzato da meccanismi di difesa specifici e da una relazione problematica con il desiderio, il potere e l’altro.

    In ambito psicoanalitico, la mente perversa è definita da una strategia psichica volta a negare la realtà interiore, trasformando la vulnerabilità in dominio e la dipendenza affettiva in controllo. La perversione non è solo una deviazione, ma una costruzione difensiva complessa, in cui l’individuo manipola sé stesso e gli altri per mantenere un senso di superiorità e invulnerabilità.

    Le radici della perversione affondano spesso nell’infanzia, in un contesto di attaccamento disturbato, traumi o esperienze di svalutazione. In questi casi, la mente perversa si sviluppa per evitare il dolore psichico, creando un’identità impermeabile alla sofferenza, ma anche incapace di una vera intimità. Freud, nei suoi studi, ha descritto la perversione come una possibile fissazione libidica o una regressione a stadi precoci dello sviluppo psicosessuale, mentre autori successivi, come Racamier e Bergeret, hanno esplorato il legame tra perversione e narcisismo patologico.

    Comprendere la perversione significa andare oltre i pregiudizi, per analizzare i meccanismi psicologici sottostanti e le loro implicazioni cliniche. Questo articolo esplora il significato della perversione, il funzionamento della mente perversa e i principali modelli psicoanalitici, fornendo spunti di riflessione sia per professionisti della salute mentale che per chi desidera approfondire la complessità di queste dinamiche psicologiche.

    Perversione e Perverso: Qual è la Differenza?

    La differenza tra perversione e perverso è spesso sfumata, ma cruciale per comprendere la psicodinamica di questi fenomeni. La perversione non è solo un comportamento trasgressivo o sessualmente atipico, ma un vero e proprio meccanismo psichico che la persona utilizza per negare il proprio mondo emotivo e relazionale. Il perverso, invece, è colui che non può fare a meno di questo meccanismo: non lo usa occasionalmente, ma lo incorpora nella propria identità e nel modo in cui si relaziona con gli altri.

    Immagina una persona che occasionalmente gioca con il potere nelle relazioni per sentirsi più sicura di sé: potrebbe avere tratti perversi, ma non per questo è un perverso. Il perverso, invece, costruisce tutta la sua esistenza su un bisogno di dominio e manipolazione, senza mai permettere a sé stesso di entrare in contatto con la propria vulnerabilità. Il suo obiettivo non è relazionarsi, ma imporre il proprio controllo sugli altri, evitando qualsiasi coinvolgimento autentico.

    Nella clinica psicoanalitica, Freud ha collegato la perversione a una fissazione infantile nello sviluppo psicosessuale, mentre studiosi come Racamier e Bergeret hanno evidenziato il legame con il narcisismo patologico. Il perverso non riesce a tollerare il proprio senso di vuoto interiore e usa la perversione per evitarlo. Ma può cambiare? Se la perversione è solo una difesa occasionale, sì. Se invece è un modo strutturato di essere, allora il lavoro terapeutico diventa una sfida ben più complessa.

    Definizione di perversione e concetto di perverso nella psicologia clinica

    La perversione, in psicologia clinica, è un meccanismo psichico complesso che altera la percezione della realtà affettiva e relazionale. Non si tratta semplicemente di comportamenti devianti o di trasgressioni sessuali, ma di una strategia difensiva con cui l’individuo nega emozioni dolorose come la vergogna, la paura dell’abbandono o il senso di impotenza. La perversione permette di sostituire la vulnerabilità con il controllo, ribaltando il rapporto tra sé e l’altro in una dinamica di dominio e manipolazione.

    Il perverso, invece, è colui che struttura la propria personalità attorno a questa difesa, rendendola il fulcro della propria esistenza psicologica. A differenza di chi utilizza meccanismi perversi in modo occasionale, il perverso non riesce a relazionarsi senza esercitare un controllo sull’altro. Nelle relazioni affettive e sociali, tende a negare l’empatia, a manipolare la realtà e a trasformare il desiderio in potere.

    Dal punto di vista psicoanalitico, Freud ha considerato la perversione una fissazione regressiva a stadi precoci dello sviluppo psicosessuale, mentre autori come Racamier e Bergeret hanno evidenziato il legame con il narcisismo patologico e la negazione del limite. In questa prospettiva, il perverso non si limita ad adottare una strategia difensiva, ma vive la perversione come una necessità, evitando il contatto con la propria interiorità. Comprendere questa distinzione è essenziale nella clinica, poiché determina il percorso terapeutico e le possibilità di cambiamento.

    Essere perverso significa avere una patologia? Fraintendimenti comuni

    Essere perverso significa necessariamente avere una patologia? Questa è una delle domande più fraintese in psicologia clinica. La parola perverso è spesso utilizzata in modo improprio, associandola a comportamenti devianti o a trasgressioni morali. In realtà, la perversione in ambito psicodinamico è un meccanismo difensivo che può manifestarsi in modo più o meno strutturato, senza necessariamente configurarsi come una patologia psichiatrica.

    Non tutte le persone con tratti perversi hanno un disturbo psicologico diagnosticabile. Alcuni individui possono utilizzare occasionalmente strategie di manipolazione o dominio per evitare di affrontare le proprie emozioni, senza per questo avere una struttura di personalità perversa. Tuttavia, quando la perversione diventa il fulcro della personalità, sostituendo il contatto emotivo con il controllo e la manipolazione costante dell’altro, si può parlare di un disturbo della personalità con tratti perversi o di una vera e propria organizzazione perversa.

    Un altro fraintendimento comune riguarda l’idea che il perverso sia sempre consapevole delle proprie azioni e intenzioni. In realtà, molte persone con una struttura perversa non riconoscono il proprio funzionamento psicologico, perché la loro mente è costruita per negare il conflitto interno. La perversione, infatti, si basa su una scissione dell’Io, che impedisce alla persona di percepire il proprio comportamento come problematico.

    Distinguere tra tratti perversi, difese perverse e struttura di personalità perversa è essenziale per comprendere se si tratta di un funzionamento occasionale o di una patologia più profonda. In ambito clinico, questa distinzione è fondamentale per individuare possibili percorsi terapeutici, poiché non tutti i perversi possono o vogliono cambiare.

    Quando un comportamento è considerato perverso?

    Un comportamento viene considerato perverso quando si struttura attorno a un meccanismo di negazione della realtà psichica, di controllo dell’altro e di manipolazione affettiva, con lo scopo di evitare il confronto con le proprie emozioni e il riconoscimento dell’altro come soggetto autonomo. Nella psicoanalisi, la perversione non è semplicemente una deviazione morale o sociale, ma un funzionamento difensivo rigido che può manifestarsi in diversi contesti, non solo nella sfera sessuale.

    Sigmund Freud ha descritto la perversione come una possibile fissazione nello sviluppo psicosessuale, dove il piacere viene ricercato attraverso modalità alternative rispetto alla sessualità adulta matura. Tuttavia, la psicoanalisi contemporanea ha ampliato questa visione, mostrando come il comportamento perverso non sia solo legato alla sfera erotica, ma possa esprimersi in molteplici modi, come il rifiuto delle emozioni autentiche, la strumentalizzazione dell’altro o la creazione di dinamiche relazionali basate sul dominio e sulla negazione della vulnerabilità.

    Un comportamento può essere definito perverso quando presenta le seguenti caratteristiche:

    • Negazione della realtà emotiva: il soggetto rifiuta sentimenti di colpa, empatia o affetto.
    • Manipolazione e controllo: l’altro è visto come un oggetto da usare per confermare il proprio potere.
    • Seduzione e dominio: il perverso spesso utilizza il fascino e la seduzione per attrarre e soggiogare.
    • Negazione del limite: ogni regola viene trasgredita per affermare la propria supremazia.

    Nella pratica clinica, la perversione non sempre è sinonimo di patologia, ma quando questi comportamenti diventano persistenti e invasivi, possono rientrare nei disturbi di personalità, come il disturbo narcisistico o antisociale. Riconoscere la perversione significa analizzare la sua funzione psichica e l’impatto sulle relazioni, per distinguere un comportamento transitorio da una struttura di personalità consolidata.

    Freud e la Perversione: Il Ruolo del Perverso nello Sviluppo Psicosessuale

    Freud ha offerto una delle prime e più influenti interpretazioni della perversione, considerandola parte del normale sviluppo psicosessuale dell’individuo. Nel suo saggio Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), descrive la perversione come una possibile fissazione o regressione a stadi precoci dello sviluppo della sessualità infantile, piuttosto che un’anomalia assoluta.

    Secondo Freud, tutti gli esseri umani attraversano una fase di sessualità polimorfa perversa nell’infanzia, in cui il piacere non è ancora finalizzato alla riproduzione, ma è disperso su diverse aree del corpo (zone erogene). La maturazione sessuale comporta il superamento di questa fase e la progressiva organizzazione del desiderio attorno a un oggetto sessuale definito. Tuttavia, in alcuni individui, questo sviluppo viene bloccato o deviato, portando a una fissazione su pratiche sessuali alternative o su dinamiche di controllo e potere nelle relazioni.

    Freud distingue tra perversioni legate alla meta sessuale (che riguardano il tipo di soddisfazione ricercata, come il feticismo o il voyeurismo) e perversioni legate all’oggetto sessuale (dove l’interesse è rivolto a oggetti o persone non convenzionali). In entrambi i casi, la perversione non è casuale, ma rappresenta un compromesso inconscio tra desiderio e difesa, spesso legato a esperienze infantili di frustrazione o conflitto.

    Dal punto di vista psicoanalitico, il perverso non accetta il principio di realtà, cercando di eludere il conflitto interiore attraverso il dominio, la negazione dell’altro o il rifiuto della castrazione simbolica. Per Freud, questo meccanismo difensivo può assumere diverse forme, da semplici fantasie perverse a strutture di personalità più rigide e disfunzionali.

    La Mente del Perverso: Funzionamento Psichico e Strategie Difensive

    La mente del perverso funziona in modo radicalmente diverso da quella di un individuo con un’organizzazione psichica neurotica o sana. Il perverso non si limita a negare le proprie emozioni, ma costruisce un’intera identità sulla manipolazione e sul dominio dell’altro. Per lui, l’affettività e il riconoscimento dell’altro come soggetto autonomo rappresentano una minaccia insostenibile, perché lo costringerebbero a confrontarsi con il proprio vuoto interiore e con la paura del rifiuto o della dipendenza.

    Dal punto di vista psicodinamico, il perverso adotta strategie difensive particolarmente rigide e strutturate, che gli consentono di evitare qualsiasi introspezione o contatto autentico con la propria emotività. Tra le difese più utilizzate troviamo:

    • Scissione dell’Io → Il perverso separa nettamente il sé fragile da quello che manifesta all’esterno. Mostra sicurezza e potere, ma dentro di sé teme il crollo emotivo.
    • Negazione della realtà psichica → Evita il senso di colpa e la sofferenza rifiutando di riconoscere l’impatto delle proprie azioni sugli altri.
    • Proiezione aggressiva → Attribuisce agli altri emozioni che non può accettare in sé stesso, come la vulnerabilità o il senso di inferiorità.
    • Erotizzazione del dominio → Il potere sugli altri diventa una fonte di piacere e controllo, compensando il proprio senso di impotenza.

    Il perverso non riconosce l’altro come un individuo separato, ma come uno strumento da controllare. Nelle relazioni, evita qualsiasi legame autentico e costruisce dinamiche di seduzione e manipolazione per mantenere il potere. Questo lo porta spesso a vivere in un circolo vizioso, in cui ha costantemente bisogno di nuovi “oggetti” da dominare per evitare il confronto con il proprio vuoto emotivo e relazionale.

    Scissione dell’Io e perdita della percezione corporea come parte del Sé

    La scissione dell’Io è uno dei meccanismi difensivi centrali nella mente del perverso. Questo processo consente di separare due aspetti della propria psiche: da un lato, l’Io apparentemente forte, sicuro e dominante; dall’altro, una parte più fragile e vulnerabile, che viene negata e dissociata. Questo meccanismo è necessario per evitare il contatto con emozioni intollerabili come la paura, la vergogna o il senso di inadeguatezza.

    Uno degli effetti più profondi di questa scissione è la perdita della percezione corporea come parte del Sé. Nella mente del perverso, il corpo non è vissuto come un’entità integrata, ma come un oggetto da controllare o uno strumento per ottenere piacere e potere sugli altri. Questo spiega perché molte espressioni della perversione siano legate alla sessualità e al dominio fisico: il corpo diventa un mezzo per esercitare controllo, piuttosto che una dimensione autentica dell’identità.

    Questa dissociazione può manifestarsi in vari modi: alcuni perversi tendono a idealizzare il proprio corpo, investendolo di un’immagine di potenza e invulnerabilità, mentre altri lo trattano con distacco, come se non appartenesse realmente a loro. In entrambi i casi, il corpo non è vissuto come un’espressione del Sé autentico, ma come un elemento separato, privo di un legame emotivo profondo.

    La scissione e la perdita della percezione corporea hanno un impatto diretto sulle relazioni. Il perverso fatica a riconoscere il desiderio autentico, proprio e altrui, perché la sua esperienza corporea è frammentata e distante. Ciò lo porta a cercare un controllo esterno sugli altri, compensando così il senso di vuoto e alienazione che deriva dalla sua incapacità di vivere il proprio corpo in modo integrato e autentico.

    Erotizzazione del controllo: perché il perverso manipola l’altro?

    L’erotizzazione del controllo è una delle dinamiche più caratteristiche della mente perversa. Per il perverso, il potere sugli altri non è solo uno strumento per evitare il confronto con le proprie fragilità, ma diventa anche una fonte di piacere e gratificazione. La manipolazione dell’altro, il dominio psicologico e la capacità di influenzare le emozioni altrui assumono un valore centrale, spesso più importante della relazione stessa.

    Questa dinamica nasce da un’incapacità profonda di gestire l’affettività in modo sano. Il perverso non tollera la vulnerabilità e teme il rifiuto, quindi evita qualsiasi forma di dipendenza emotiva. La soluzione che trova è trasformare la relazione in un gioco di potere, in cui può mantenere il controllo e, allo stesso tempo, sentirsi forte e inattaccabile. In questo modo, il coinvolgimento affettivo viene evitato, sostituito da un piacere che deriva dalla sottomissione o dall’umiliazione dell’altro.

    Nella manipolazione perversa, ogni interazione diventa un test di potere. Il perverso può adottare diverse strategie, tra cui:

    • Seduzione iniziale → Costruisce un’immagine affascinante e carismatica per conquistare la fiducia dell’altro.
    • Svalutazione progressiva → Dopo aver ottenuto il controllo, inizia a minare l’autostima della vittima, rendendola sempre più dipendente.
    • Gioco di ambivalenza → Alterna momenti di apparente affetto a comportamenti freddi o punitivi, destabilizzando l’altro.

    Questo meccanismo, purtroppo, è spesso inconsapevole: il perverso non sempre pianifica la manipolazione in modo deliberato, ma agisce seguendo un copione psicologico che gli permette di evitare il rischio del rifiuto e dell’intimità reale. La sua necessità di controllo, quindi, non è solo un mezzo per ottenere vantaggi, ma una strategia di difesa per non entrare in contatto con le proprie emozioni profonde e con il proprio senso di vuoto interiore.

    Il bisogno di potere e il rifiuto della dipendenza affettiva nel perverso

    Il bisogno di potere è il fulcro della mente perversa, un meccanismo che permette di evitare il contatto con la propria vulnerabilità e con il timore profondo della dipendenza affettiva. Per il perverso, il potere non è solo un desiderio di controllo, ma una necessità psicologica: senza di esso, si sentirebbe esposto, fragile e impotente. Questo bisogno si manifesta in tutte le aree della sua vita, ma soprattutto nelle relazioni interpersonali, dove la manipolazione e il dominio diventano strumenti per mantenere un’apparente superiorità.

    Il perverso vive il legame affettivo come una minaccia. Ogni forma di dipendenza emotiva lo espone al rischio del rifiuto, dell’umiliazione o della perdita di controllo. Per questo, cerca di trasformare ogni relazione in una dinamica di potere, dove lui possa stabilire le regole e mantenere l’altro in una posizione di subordinazione. Il perverso non riesce ad accettare la reciprocità: vede il bisogno dell’altro come una debolezza, mentre considera la propria indipendenza come un segno di forza.

    Le strategie che utilizza per evitare la dipendenza affettiva includono:

    • Svalutazione dell’altro → Dopo una fase iniziale di idealizzazione, tende a ridurre il valore dell’altro per sentirsi superiore.
    • Controllo emotivo → Alterna momenti di vicinanza e freddezza per mantenere l’altro in una posizione di insicurezza.
    • Negazione del bisogno affettivo → Rifiuta di riconoscere il proprio desiderio di amore o accettazione, mascherandolo dietro atteggiamenti di disprezzo o autosufficienza.

    Questa dinamica crea un circolo vizioso: più il perverso domina, più si allontana dalla possibilità di una vera connessione emotiva, rafforzando così la sua paura inconscia dell’intimità. Il risultato è un isolamento interiore, in cui il potere diventa l’unica illusoria fonte di sicurezza, mentre la capacità di amare e lasciarsi amare viene progressivamente distrutta.

    Perché si Diventa Perversi? Le Origini della Perversione e del Perverso

    Le origini della perversione e della mente perversa sono complesse e affondano le radici in esperienze precoci di sofferenza, frammentazione psichica e strategie difensive disfunzionali. Non si nasce perversi, ma si sviluppa una struttura mentale perversa come risposta adattiva a un ambiente che ha impedito la costruzione di un’identità coesa e sicura.

    Secondo la prospettiva psicodinamica, il perverso ha vissuto una fase dello sviluppo caratterizzata da una profonda mancanza di accoglienza emotiva o da una relazione primaria instabile. Questa esperienza può derivare da:

    • Un attaccamento disturbato → Il bambino ha avuto una figura di riferimento anaffettiva, ipercritica o imprevedibile, imparando che l’amore è condizionato e manipolatorio.
    • Traumi precoci → Esperienze di umiliazione, svalutazione o rifiuto hanno creato un senso di vulnerabilità intollerabile, che viene negato attraverso il dominio sugli altri.
    • Un ambiente che ha erotizzato il potere → In alcune famiglie, il controllo e la sottomissione vengono trasmessi come modelli relazionali, portando il soggetto a identificare il piacere con la dominazione.

    Per difendersi dalla paura di essere nuovamente ferito, il perverso sviluppa un meccanismo di scissione psichica: separa la parte di sé che desidera amore e protezione dalla parte che agisce in modo freddo e calcolatore. In questo modo, evita il rischio dell’intimità e trasforma il rapporto con gli altri in una dinamica di potere, dove domina invece di essere dominato.

    La perversione non è quindi una scelta consapevole, ma un sistema di difesa estremo per proteggersi da ferite profonde. Il perverso non riesce a elaborare il proprio dolore e lo esternalizza, riproponendo sugli altri la sofferenza che lui stesso ha vissuto. Tuttavia, questa strategia non porta a una reale sicurezza interiore, ma solo a un’escalation di manipolazione e isolamento emotivo.

    M. Khan e l’”oggetto interno composito”: il perverso nasce o diventa tale?

    La teoria di M. Masud Khan sull’“oggetto interno composito” offre una prospettiva fondamentale per comprendere se il perverso nasca tale o se lo diventi nel corso dello sviluppo. Secondo Khan, la perversione è il risultato di un’alterazione del processo di costruzione dell’identità, dovuta a esperienze precoci di trauma, frustrazione o iperstimolazione.

    L’oggetto interno composito è una struttura psichica che si forma quando il bambino vive un attaccamento disturbato con le figure primarie di riferimento. Se l’ambiente è imprevedibile – alternando momenti di calore a freddezza improvvisa o punizioni immotivate – il bambino non riesce a sviluppare una base sicura su cui costruire il proprio Sé. In risposta, interiorizza una rappresentazione contraddittoria delle figure di accudimento, fondendo in un’unica immagine l’amore e la crudeltà, la protezione e l’abuso.

    Questa confusione emotiva porta a una scissione tra desiderio e paura, bisogno e rifiuto, generando un’identità frammentata. Il perverso, quindi, non nasce tale, ma costruisce nel tempo un sistema difensivo che gli permette di gestire il dolore del rifiuto e della solitudine attraverso il dominio e il controllo sugli altri.

    Secondo Khan, il comportamento perverso è il tentativo di replicare e padroneggiare esperienze infantili angoscianti. Il perverso, infatti, ripropone sugli altri la stessa dinamica relazionale distorta che ha interiorizzato nell’infanzia: alterna seduzione e svalutazione, controllo e abbandono, perché non ha mai sperimentato un legame affettivo stabile e autentico.

    La perversione, dunque, è una difesa psichica estrema, sviluppata per sopravvivere a una realtà emotivamente insostenibile. Il perverso non è consapevole di questa dinamica: agisce per evitare il dolore, ma finisce per perpetuarlo, incapace di spezzare il ciclo di manipolazione e distanza affettiva.

    L’influenza dell’attaccamento primario nello sviluppo della mente perversa

    L’attaccamento primario gioca un ruolo cruciale nello sviluppo della mente perversa, poiché le prime relazioni con le figure di riferimento modellano il modo in cui un individuo percepirà sé stesso e gli altri. Se il bambino cresce in un ambiente sicuro e affettivamente stabile, svilupperà un senso di fiducia nelle relazioni. Tuttavia, quando l’attaccamento è disturbato, si possono creare dinamiche disfunzionali che favoriscono lo sviluppo di tratti perversi.

    Molti studi psicodinamici evidenziano come il perverso abbia vissuto un’esperienza di attaccamento traumatica, caratterizzata da genitori imprevedibili, anaffettivi o ipercontrollanti. In questi casi, il bambino interiorizza un’immagine dell’altro come fonte di piacere e di dolore allo stesso tempo. Questa ambivalenza genera una scissione psichica, portando l’individuo a dissociare i propri bisogni affettivi dalla paura del rifiuto.

    Alcuni fattori chiave che influenzano lo sviluppo della mente perversa includono:

    • Attaccamento evitante o disorganizzato → Il bambino impara che l’altro non è una base sicura e sviluppa strategie di autosufficienza emotiva, negando il proprio bisogno di affetto.
    • Esperienze precoci di umiliazione o rifiuto → L’autostima fragile viene compensata attraverso il controllo e la manipolazione sugli altri.
    • Erotizzazione del potere → Se il bambino cresce in un ambiente in cui il dominio è il modello relazionale prevalente, può interiorizzare l’idea che la relazione si basi su chi controlla e chi è sottomesso.

    Il perverso, quindi, non riconosce l’altro come un individuo separato, ma lo vede come uno strumento per soddisfare i propri bisogni senza il rischio di coinvolgimento emotivo. Questo schema, nato come difesa infantile, diventa in età adulta un vero e proprio stile relazionale patologico, basato su seduzione, manipolazione e incapacità di stabilire legami autentici.

    Il perverso cerca amore o controllo? La confusione tra desiderio e dominio

    Nella mente del perverso, amore e controllo si intrecciano in una dinamica complessa, dove il desiderio di connessione si mescola con il bisogno di dominio. Questa confusione nasce da esperienze precoci di attaccamento disturbato, in cui il perverso ha imparato a concepire l’affetto come qualcosa di ambivalente, pericoloso e mai veramente accessibile.

    Per il perverso, il legame con l’altro non è vissuto come una fonte di sicurezza, ma come un rischio di annullamento o di perdita di controllo. L’intimità lo espone a una vulnerabilità che non può tollerare, quindi la trasforma in una dinamica di potere. Da un lato, prova un desiderio di relazione, dall’altro teme la dipendenza affettiva e il rischio di essere ferito.

    Questa ambivalenza si traduce in due comportamenti principali:

    • Seduzione manipolatoria → Il perverso crea legami basati sull’illusione dell’amore, offrendo all’altro l’idea di essere speciale e insostituibile. Tuttavia, questa seduzione è solo un mezzo per instaurare un controllo sottile.
    • Svalutazione e dominio → Una volta ottenuta la vicinanza, il perverso destabilizza il partner attraverso critiche, freddezza emotiva o comportamenti imprevedibili. Questo gli permette di mantenere il controllo senza rischiare un coinvolgimento autentico.

    In fondo, il perverso cerca l’amore, ma non riesce a viverlo senza trasformarlo in un gioco di potere. Il desiderio di connessione è soffocato dalla paura della dipendenza, e il bisogno di proteggersi lo porta a confondere affetto e dominio. Questa dinamica, se non elaborata, lo condanna a relazioni superficiali e disfunzionali, dove il controllo diventa l’unica forma di sicurezza possibile.

    Perversione e Narcisismo: Il Perverso tra Difesa e Patologia

    Il legame tra perversione e narcisismo è complesso e profondo: entrambi rappresentano modalità difensive attraverso cui l’individuo cerca di proteggersi da un senso di vuoto, frammentazione o vulnerabilità intollerabile. La mente perversa e quella narcisistica condividono un rifiuto della dipendenza affettiva e una tendenza a vedere l’altro come uno strumento di gratificazione, anziché come un soggetto autonomo con desideri e bisogni propri.

    Il narcisismo patologico si fonda su una costruzione grandiosa del Sé, che serve a proteggere il soggetto da sentimenti di inadeguatezza e vergogna. Il perverso, tuttavia, non si limita a idealizzarsi, ma sviluppa una strategia relazionale ancora più sofisticata: invece di bastare a sé stesso, costruisce il proprio senso di potere attraverso il controllo dell’altro. Mentre il narcisista ricerca ammirazione e conferme, il perverso ha bisogno di dominare, manipolare e destrutturare l’identità altrui per sentirsi forte.

    Questa dinamica si manifesta in diversi modi:

    • Scissione tra desiderio e dipendenza → Il perverso nega il proprio bisogno di amore, trasformandolo in dominio.
    • Uso dell’altro come oggetto → L’altro non viene riconosciuto come persona autonoma, ma come strumento per rafforzare la propria superiorità.
    • Svalutazione e controllo → Dopo un’iniziale fase di idealizzazione, il perverso tende a svalutare l’altro per mantenere una posizione di potere.

    In questa prospettiva, la perversione non è solo un sintomo psicopatologico, ma anche una difesa estrema contro il terrore dell’abbandono e dell’insignificanza. Tuttavia, questa strategia si rivela fallimentare, perché porta il perverso a costruire relazioni distruttive e prive di autenticità, in un circolo vizioso di dominio e isolamento.

    J. Bergeret: la perversione è una patologia o una strategia di sopravvivenza?

    Secondo Jean Bergeret, la perversione non è semplicemente una patologia, ma una strategia di sopravvivenza psichica adottata per difendersi da un’angoscia primitiva intollerabile. Il perverso, infatti, sviluppa un assetto mentale che gli consente di evitare il dolore psichico legato alla frammentazione dell’identità, all’assenza di una base sicura nell’infanzia o alla paura della dipendenza affettiva.

    Bergeret distingue due aspetti centrali nella perversione:

    1. La perversione come difesa primitiva → Il perverso utilizza meccanismi di scissione e diniego per proteggersi da emozioni che non riesce a elaborare. Non potendo tollerare il bisogno di amore e di connessione emotiva, lo trasforma in un desiderio di controllo sull’altro. In questo modo, evita la sofferenza legata all’abbandono o al rifiuto.
    2. L’illusione di onnipotenza → La perversione permette al soggetto di sentirsi invulnerabile, evitando il confronto con le proprie fragilità. Manipolando gli altri e riducendoli a strumenti di piacere o di dominio, il perverso alimenta l’illusione di essere inattaccabile e immune dalla sofferenza.

    Da questa prospettiva, la perversione non è tanto una malattia nel senso classico, ma una modalità relazionale distorta, che si sviluppa come risposta estrema a un ambiente affettivamente instabile o traumatico. Tuttavia, questa strategia di sopravvivenza si rivela fallimentare: se da un lato protegge il perverso da emozioni intollerabili, dall’altro lo condanna a una profonda incapacità di stabilire relazioni autentiche, lasciandolo prigioniero di un circolo vizioso di manipolazione, dominio e isolamento emotivo.

    P.-C. Racamier: la perversione relazionale e la negazione dell’altro

    Secondo Paul-Claude Racamier, la perversione relazionale non è semplicemente un disturbo individuale, ma un meccanismo difensivo complesso che si manifesta nel modo in cui il perverso interagisce con gli altri. Al centro di questa dinamica vi è la negazione dell’altro: il perverso non riconosce l’altro come un individuo autonomo con bisogni ed emozioni proprie, ma lo trasforma in un oggetto da manipolare per mantenere il proprio equilibrio psichico.

    Racamier descrive il perverso come un soggetto che non vuole affrontare il conflitto interno, ma lo proietta costantemente sugli altri, inducendoli a dubitare della propria percezione e identità. Questo lo porta a instaurare dinamiche relazionali in cui:

    • L’altro viene negato come soggetto → Il perverso lo priva della sua autonomia, riducendolo a uno strumento per il proprio piacere o controllo.
    • Si crea un gioco di seduzione e dominio → Attraverso la manipolazione, il perverso alterna momenti di idealizzazione e svalutazione, destabilizzando la vittima.
    • Viene utilizzata la perversione come difesa → Invece di affrontare il proprio dolore emotivo o la paura dell’abbandono, il perverso costruisce una relazione in cui è sempre in una posizione di potere.

    Racamier evidenzia come la perversione relazionale non sia solo una questione individuale, ma un processo interattivo che coinvolge chi entra in rapporto con il perverso. Il suo obiettivo non è semplicemente il dominio, ma la distruzione dell’identità dell’altro, attraverso un sottile e progressivo lavoro di demolizione psichica. Questo lo differenzia dal narcisista: mentre il narcisista cerca conferme, il perverso trae piacere dal controllo e dalla destabilizzazione dell’altro.

    Questa visione offre un’importante chiave di lettura per comprendere le dinamiche della perversione nelle relazioni tossiche e patologiche, permettendo di riconoscerne i segnali e di proteggersi da un coinvolgimento distruttivo.

    Il perverso e il potere sulla mente altrui: manipolazione e dinamiche narcisistiche

    Il perverso esercita il suo potere sulla mente altrui attraverso una sofisticata rete di manipolazione psicologica e dinamiche narcisistiche, che gli permettono di controllare, destabilizzare e mantenere il dominio sulla vittima. A differenza di altre forme di disturbo della personalità, la perversione relazionale non si limita alla ricerca di ammirazione o conferme, ma punta a distruggere l’identità dell’altro, trasformandolo in uno strumento di piacere e conferma della propria superiorità.

    Una delle tecniche principali utilizzate dal perverso è il gaslighting, un meccanismo manipolativo in cui la vittima viene gradualmente portata a dubitare della propria percezione della realtà. Attraverso continue contraddizioni, menzogne sottili e distorsioni, il perverso crea uno stato di confusione mentale che rende la vittima più vulnerabile e dipendente.

    Un altro strumento tipico è il doppiogioco narcisistico, in cui il perverso alterna momenti di apparente gentilezza e seduzione a episodi di svalutazione e indifferenza. Questo schema crea un legame disfunzionale in cui la vittima si sforza costantemente di riconquistare l’approvazione del perverso, senza mai riuscirci del tutto.

    Dal punto di vista psicodinamico, il perverso non è capace di empatia autentica: il suo rapporto con l’altro è puramente strumentale, finalizzato alla propria autoconservazione. Il suo bisogno di dominio nasce da una profonda paura della vulnerabilità e da un’incapacità di gestire relazioni sane e reciproche. Per questo motivo, nelle dinamiche relazionali, tende a scegliere persone sensibili, empatiche e bisognose di conferme, sfruttando i loro punti deboli per mantenere il controllo.

    Riconoscere questi schemi è fondamentale per difendersi da relazioni tossiche e manipolative. Interrompere il ciclo di potere e sottomissione richiede consapevolezza, distacco emotivo e, nei casi più estremi, un percorso terapeutico per ricostruire l’autostima e la capacità di autodeterminazione.

    Psicoterapia e Perverso: È Possibile Cambiare?

    La psicoterapia con un perverso rappresenta una delle sfide più complesse per un terapeuta, poiché il soggetto non riconosce il proprio problema e raramente chiede aiuto con un’intenzione autentica di cambiamento. A differenza di altre strutture di personalità, il perverso non prova angoscia per il proprio comportamento, ma trai piacere nel controllare e manipolare gli altri, rendendo difficile qualsiasi forma di introspezione.

    Dal punto di vista psicodinamico, la perversione è spesso una difesa contro un’angoscia profonda e primitiva, che il soggetto non riesce a elaborare. Dietro il suo bisogno di dominio si cela una paura estrema dell’abbandono, del fallimento e della propria fragilità. Tuttavia, invece di affrontare queste emozioni, il perverso le proietta sugli altri, mantenendo un senso di onnipotenza che lo protegge dal dolore psichico.

    La domanda centrale è: può un perverso cambiare? La risposta non è univoca. Se il soggetto è costretto alla terapia da fattori esterni (ad esempio, una crisi relazionale o legale), tenderà a manipolare anche il percorso terapeutico, giocando con il terapeuta come fa con le sue vittime. Se, invece, l’ingresso in terapia avviene per una reale sofferenza, solitamente legata a una perdita o a una frattura del proprio equilibrio narcisistico, esiste una possibilità di cambiamento.

    In ogni caso, il percorso terapeutico deve essere strutturato e altamente consapevole: il terapeuta non può farsi coinvolgere nelle dinamiche manipolatorie del perverso e deve lavorare sulla sua resistenza al cambiamento, cercando di portarlo a riconoscere il proprio vuoto interiore e il suo terrore dell’intimità autentica. Tuttavia, il successo della terapia dipende dalla reale disponibilità del paziente a mettersi in discussione, un elemento che, nel caso della perversione, è spesso limitato.

    Un perverso può realmente essere curato?

    La possibilità di curare un perverso è un tema complesso e controverso, che dipende da molteplici fattori, tra cui il grado di consapevolezza del soggetto, la sua motivazione al cambiamento e la profondità delle difese psicologiche che lo caratterizzano. A differenza di altre strutture di personalità, il perverso non prova disagio per il proprio comportamento, ma trae piacere dal controllo, dalla manipolazione e dalla sottomissione dell’altro. Questo rende particolarmente difficile l’avvio di un percorso terapeutico efficace.

    Dal punto di vista psicodinamico, la perversione è spesso il risultato di un trauma precoce, di una rottura nell’attaccamento primario o di un’identificazione con l’aggressore. Il perverso sviluppa meccanismi di difesa estremamente rigidi, tra cui la scissione (separazione tra affetto e azione), la negazione (rifiuto della propria fragilità) e la proiezione (attribuire agli altri le proprie paure). Questi meccanismi rendono difficile il lavoro terapeutico, poiché il soggetto non accetta di mettersi in discussione e spesso tenta di manipolare anche il terapeuta.

    Tuttavia, in alcuni casi, il perverso può richiedere aiuto quando il suo equilibrio narcisistico viene compromesso. Una crisi relazionale, un insuccesso professionale o la perdita di controllo su una vittima possono innescare una vulnerabilità sufficiente a portarlo in terapia. Il problema principale è che, nella maggior parte dei casi, il perverso non cerca una vera trasformazione, ma piuttosto una conferma del proprio potere o una nuova strategia per manipolare l’ambiente circostante.

    Il trattamento richiede un approccio strutturato, con un terapeuta altamente esperto, capace di mantenere i confini terapeutici e resistere ai tentativi di seduzione o manipolazione. L’obiettivo non è “curare” nel senso tradizionale, ma aiutare il soggetto a riconoscere i propri schemi disfunzionali e, se possibile, contenere i comportamenti dannosi. Tuttavia, i cambiamenti profondi e duraturi sono rari, poiché la perversione è spesso una strategia radicata di sopravvivenza psichica, difficilmente smantellabile senza una reale motivazione al cambiamento.

    La richiesta di aiuto è autentica o manipolatoria?

    La richiesta di aiuto di un perverso è spesso ambigua e difficile da interpretare, poiché può essere motivata tanto da un’autentica sofferenza quanto da un desiderio di controllo e manipolazione. A differenza di altre strutture di personalità, il perverso non si percepisce come bisognoso di aiuto, poiché il suo meccanismo difensivo primario è negare la propria vulnerabilità e mantenere un senso di onnipotenza. Per questo motivo, quando si rivolge a un terapeuta, è essenziale valutare se la richiesta sia realmente orientata al cambiamento o se rappresenti un ulteriore strumento di potere.

    Spesso, il perverso entra in terapia in seguito a una crisi che minaccia il suo equilibrio narcisistico: un abbandono, un insuccesso lavorativo, un’esposizione pubblica delle sue manipolazioni o un evento che lo pone di fronte ai propri limiti. In questi casi, il malessere è reale, ma non riguarda una presa di coscienza delle proprie dinamiche distruttive, bensì la paura di perdere il proprio status di controllo. Il terapeuta diventa così un nuovo oggetto di manipolazione, un interlocutore da sedurre, sfidare o usare per ottenere nuove strategie relazionali.

    Esistono, tuttavia, alcuni rari casi in cui la richiesta di aiuto è più genuina, soprattutto quando il soggetto sperimenta un senso di vuoto insopportabile o un’insofferenza verso le proprie modalità relazionali, riconoscendo, almeno parzialmente, il proprio malessere. Tuttavia, anche in questi scenari, la difesa perversa resta molto forte e il lavoro terapeutico è lungo e difficile, poiché il paziente tende a evitare il contatto con le proprie emozioni profonde e a sabotare il processo di introspezione.

    Per il terapeuta, il compito principale è discriminare tra una richiesta autentica e una manipolatoria, ponendo confini chiari e resistendo ai tentativi di controllo. Se il perverso non è disposto a lavorare su di sé con sincerità, il rischio è che la terapia diventi un palcoscenico per il suo gioco di potere, senza portare a un cambiamento reale.

    Il ruolo del terapeuta con il perverso: come gestire la seduzione e il controllo?

    Affrontare una psicoterapia con un paziente perverso significa entrare in un territorio insidioso, dove il potere e la manipolazione possono trasformare il setting terapeutico in un’arena di controllo piuttosto che in uno spazio di cura. Il perverso non chiede aiuto per cambiare, ma per esercitare il proprio dominio anche all’interno della relazione terapeutica. Seduzione, sfida e destabilizzazione diventano strumenti attraverso cui testa i limiti dell’altro, spingendo il terapeuta in un equilibrio delicato tra fermezza e comprensione.

    Uno dei primi segnali di allarme è la seduzione manipolatoria: il perverso non esprime un disagio autentico, ma costruisce un’immagine di sé affascinante e brillante, cercando di conquistare il terapeuta. Potrebbe mostrarsi estroverso, ironico, apparentemente collaborativo, ma il suo scopo non è aprirsi, bensì capovolgere i ruoli e trasformare l’analista in un soggetto passivo. Se il terapeuta non riconosce questa dinamica, rischia di essere assorbito in una relazione sterile, priva di autenticità.

    Parallelamente, il perverso cerca di imporsi sul setting terapeutico, tentando di sovvertire le regole con richieste particolari, spostamenti continui delle sedute o domande provocatorie. Spesso ribalta il rapporto di potere con frasi come: “Dottore, è sicuro di capire veramente il mio problema?” o “Non crede che stia proiettando su di me?”. Questi giochi di manipolazione mirano a mettere in discussione l’autorità del terapeuta, spostando il focus dal lavoro clinico a una lotta per il controllo.

    Come gestire tutto questo senza perdere l’efficacia terapeutica?

    Stabilire confini chiari fin dall’inizio, evitando flessibilità eccessiva che il perverso potrebbe sfruttare a proprio vantaggio.
    Mantenere una posizione neutra e professionale, senza farsi trascinare nelle sue provocazioni o nei tentativi di seduzione.
    Rendere visibili le dinamiche manipolatorie, riportando costantemente l’attenzione sui suoi schemi relazionali senza cadere nelle sue trappole.
    Non entrare in una relazione di sfida, perché il perverso cerca continuamente di trasformare la terapia in un confronto di potere.

    Il vero obiettivo non è “vincere” contro il perverso, ma fargli percepire la rigidità delle sue difese. Se il terapeuta riesce a mantenere una presenza ferma e coerente, senza farsi destabilizzare, potrebbe aprire uno spazio per la riflessione. Ma la domanda centrale resta: il perverso vuole davvero cambiare? Se il desiderio di controllo è più forte della volontà di trasformazione, la terapia rischia di diventare solo un altro palcoscenico per il suo gioco di potere.

    Massimo Franco
    Massimo Franco
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