Saper amare non è da tutti: il coraggio dell’amore secondo Fromm

Saper amare non è da tutti. In un mondo frammentato e veloce, dove le connessioni umane rischiano di diventare effimere, amare davvero richiede consapevolezza, presenza e coraggio. Significa andare oltre l'idealizzazione e il possesso, accogliere la vulnerabilità e coltivare l'incontro autentico con l'altro. Questo articolo, ispirato al pensiero di Erich Fromm, esplora le radici psicologiche e simboliche dell'amore come arte da apprendere ogni giorno. Scopri come trasformare le relazioni in uno spazio reale di crescita, ascolto e cura, oltre i modelli consumistici e narcisistici dominanti.

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    In un caffè del centro, una coppia siede al tavolo da quasi un’ora. Lei guarda ripetutamente il telefono, lui osserva distrattamente fuori dalla finestra. I loro corpi sono vicini, eppure sembrano separati da un’invisibile barriera. Si scambiano parole, ma raramente gli sguardi si incontrano davvero. Questa scena, così comune nel paesaggio urbano contemporaneo, rivela una verità fondamentale: la vicinanza fisica non garantisce una connessione autentica. Saper amare non è da tutti, e questa realtà si manifesta negli spazi vuoti che si creano tra le persone, nelle parole non dette, nei gesti mancati che caratterizzano molte relazioni.

    L’amore, secondo il pensiero illuminante di Erich Fromm, psicoanalista e filosofo del secolo scorso, non è un evento spontaneo che semplicemente accade, né un sentimento passeggero che fiorisce senza cure. È piuttosto un’arte che richiede dedizione, comprensione e pratica costante. Come un musicista che affina il proprio strumento, o un pittore che perfeziona la sua tecnica, chi desidera amare dev’essere disposto a studiare, imparare e crescere continuamente in questa capacità. La verità è che non tutti sanno davvero amare, proprio perché implica questo impegno costante e consapevole.

    Si osserva spesso come l’amore venga confuso con la semplice euforia dell’innamoramento o ridotto a una mera attrazione passeggera. Eppure l’amare autentico trascende questi stati iniziali e si manifesta come una capacità attiva che si sviluppa nel tempo. In un’epoca dominata dall’immediatezza e dal consumismo, dove le relazioni si formano e si dissolvono con un semplice scorrere del dito sullo schermo, il pensiero di Fromm ci invita a riscoprire la profondità dell’amore come arte da coltivare con pazienza e consapevolezza. Saper amare non è da tutti perché richiede di andare controcorrente rispetto alle tendenze superficiali della cultura contemporanea.

    Durante le sedute terapeutiche, emerge con chiarezza quanto sia diffusa la convinzione che l’amore debba essere facile, immediato, privo di ostacoli. Una giovane donna racconta di cercare “la persona giusta” con cui tutto fluisca senza sforzo; un uomo di mezza età confessa di aver abbandonato relazioni significative al primo segnale di difficoltà. Entrambi riflettono una visione contemporanea dell’amore come prodotto da consumare piuttosto che come processo da costruire. Saper amare non è da tutti, perché implica una volontà intenzionale di crescere, attraversare i conflitti, rimanere presenti anche quando è difficile.

    La capacità di amare profondamente non è un dono che si possiede dalla nascita, ma un’abilità che si costruisce attraverso la pratica quotidiana della cura, dell’ascolto, del rispetto. Proprio come un artigiano che, giorno dopo giorno, affina la sua maestria, così chi impara ad amare sviluppa gradualmente una sensibilità più acuta verso l’altro, una presenza più autentica, una disponibilità più profonda all’incontro vero. Questo percorso richiede coraggio: il coraggio di mostrarsi vulnerabili, di affrontare le proprie paure, di rischiare il rifiuto o l’incomprensione. Saper amare non è da tutti, perché esige questa disponibilità all’esposizione emotiva, alla messa in gioco.

    Nella stanza di terapia, si nota come chi ha sviluppato la capacità di amare manifesti una particolare qualità di presenza: uno sguardo che sa davvero vedere l’altro, una voce che comunica non solo attraverso le parole ma anche attraverso le sfumature e i silenzi, un corpo che sa essere vicino senza invadere. Saper amare non è da tutti, perché questa arte sottile di equilibrio tra vicinanza e rispetto richiede tempo, ascolto, dedizione. L’amare in questo senso profondo rappresenta forse la più grande sfida e al contempo la più grande opportunità di crescita per ogni essere umano.

    L’amore come arte da apprendere e le sue qualità fondamentali

    Durante una lezione di pianoforte, un anziano maestro osserva pazientemente la sua allieva che si esercita su un passaggio complesso. “La musica non è nei tasti”, le dice, “ma nel tempo che dedichi a comprenderli”. Questo scambio quotidiano racchiude, nella sua semplicità, l’essenza di ciò che Fromm intendeva quando parlava dell’amore come arte. Nell’osservare le relazioni umane, si nota come molti aspettano che l’amore semplicemente accada, come un evento atmosferico su cui non hanno controllo. Eppure, saper amare non è da tutti proprio perché richiede la stessa disciplina, pazienza e dedizione che un musicista investe nel suo strumento. L’amare autentico non è un talento innato ma una capacità che si sviluppa con pratica consapevole.

    Nelle sale d’attesa degli studi di terapia, si incontrano spesso persone che si domandano perché, nonostante i numerosi incontri e relazioni, l’amore autentico continui a sfuggire loro. Si notano le mani che si torcono nervosamente, gli sguardi che si abbassano quando si tocca il tema dell’impegno, i sospiri che accompagnano il racconto di un’altra delusione. Questi gesti rivelano un malinteso fondamentale: l’idea che l’amore sia una questione di fortuna o destino, piuttosto che un’abilità da coltivare consapevolmente. Saper amare non è da tutti anche perché implica abbandonare questa illusione di passività per assumere una posizione attiva e responsabile.

    L’approccio di Fromm rovescia questa concezione passiva: imparare ad amare significa sviluppare attivamente qualità come la cura, la responsabilità, il rispetto e la conoscenza dell’altro. Qualità che non sbocciano spontaneamente, ma che crescono solo attraverso la pratica quotidiana e l’intenzione consapevole. Quando comprendiamo che saper amare non è da tutti perché richiede questo lavoro interiore costante, possiamo iniziare a percorrere il cammino che trasforma l’amore da semplice emozione a vera e propria arte di vivere.

    L’illusione dell’amore spontaneo e la necessità dell’impegno

    Nel corso di una cena tra amici, quando il discorso vira sulle relazioni, emerge spesso la stessa narrativa: “Quando incontri la persona giusta, tutto fluisce naturalmente”. Una donna racconta di aver lasciato il partner perché “se devi sforzarti, significa che non è vero amore”. Un uomo annuisce, descrivendo come cerchi quella “chimica perfetta” che dovrebbe rendere ogni aspetto della relazione semplice e immediato. Si osserva in questi dialoghi la persistenza di un’illusione: l’idea che amare significato avrebbe principalmente nel provare un sentimento, piuttosto che nel compiere un’azione. Questa concezione passiva è uno dei maggiori ostacoli nel percorso di chi vuole davvero imparare ad amare.

    La concezione romantica dell’amore come forza che ci travolge e ci guida spontaneamente ha radici profonde nella nostra cultura, alimentata da film, canzoni e romanzi che celebrano l’innamoramento come stato ideale. Eppure, nella pratica clinica, si nota come questa visione porti spesso a un circolo di delusioni e abbandoni precoci delle relazioni. Una persona che entra in psicoterapia dopo la fine del terzo fidanzamento in due anni confessa: “All’inizio è sempre perfetto, poi quando cominciano i problemi penso che sia il segno che non era la persona giusta”. Questo fraintendimento del significato dell’amare rivela quanto sia diffusa l’idea che l’amore debba essere privo di sforzo per essere autentico.

    L’amore spontaneo rappresenta solo l’inizio, il seme di qualcosa che, per svilupparsi pienamente, richiede terreno fertile e cure costanti. Il vero amare significato ha quando trascende l’impulso iniziale e si trasforma in scelta quotidiana. Come un giardiniere che non si limita a piantare, ma pota, annaffia e protegge, così chi impara ad amare sa che il sentimento deve essere sostenuto dall’impegno. Questa verità fondamentale – che saper amare non è da tutti ma richiede dedizione consapevole – spiega perché molte relazioni promettenti si esauriscono rapidamente.

    Nei momenti di crisi relazionale, quando l’entusiasmo iniziale si è attenuato o quando emergono le inevitabili differenze, l’illusione dell’amore spontaneo mostra la sua fragilità. È qui che si manifesta la differenza tra chi cerca solo l’emozione dell’innamoramento e chi ha compreso che saper amare non è da tutti perché implica la disponibilità a rimanere anche quando la strada diventa difficile, a rinnovare ogni giorno la propria scelta. L’amare autentico include necessariamente questa dimensione di impegno volontario che va oltre l’impulso emotivo immediato.

    Cura, responsabilità e rispetto: le basi dell’amore autentico

    Durante una sessione di terapia di coppia, un piccolo gesto cattura l’attenzione: mentre la donna parla di un momento difficile, l’uomo le passa silenziosamente un fazzoletto, avendo notato le lacrime che lei stessa non aveva ancora percepito. In questo movimento minimo si manifesta la cura, una delle qualità fondamentali che Fromm identifica nell’amore autentico. La cura implica un’attenzione vigile ai bisogni dell’altro, una percezione che precede persino l’espressione esplicita di tali bisogni. Saper amare non è da tutti proprio perché richiede questa qualità di attenzione che va oltre la superficie.

    La responsabilità, seconda qualità essenziale, si osserva nella capacità di rispondere alle necessità dell’altro senza viverle come un peso o un’imposizione. Un padre che si alza nel cuore della notte per il figlio che piange non lo fa per obbligo, ma per una responsabilità liberamente assunta. Amare una persona significa riconoscere che il suo benessere è interconnesso con il nostro, che rispondere alle sue chiamate non limita la nostra libertà ma la esprime nella sua forma più alta. Questa disponibilità responsabile è parte integrante dell’arte di amare che Fromm ci invita a sviluppare.

    Nelle dinamiche familiari si coglie spesso la differenza tra controllo e rispetto. Una madre racconta di aver imparato a trattenere l’impulso di correggere costantemente le scelte del figlio adolescente; un marito descrive lo sforzo di ascoltare veramente le opinioni della moglie invece di cercare subito argomenti per contrastarle. Il rispetto, infatti, implica la capacità di vedere l’altro come entità separata, con una sua dignità e direzione, non come estensione di sé o strumento per i propri bisogni. Amare profondamente include questa capacità di riconoscere e onorare l’alterità dell’altro.

    Amare profondamente include anche la conoscenza dell’altro, non come mera raccolta di informazioni, ma come comprensione empatica che raggiunge gli strati più profondi dell’essere. Nei colloqui con coppie di lunga data che mantengono una relazione vitale, emerge questa capacità di “leggere” l’altro oltre le parole, di comprenderne i silenzi, di interpretarne i gesti alla luce di una conoscenza sviluppata nel tempo. Saper amare non è da tutti perché richiede questa paziente costruzione di comprensione reciproca che va oltre l’infatuazione iniziale.

    Queste qualità – cura, responsabilità, rispetto e conoscenza – non sono elementi accessori dell’amore, ma ne costituiscono l’essenza, le fondamenta su cui si costruisce ogni relazione autentica. Non si manifestano automaticamente, ma sono il frutto di un lavoro interiore costante, di una scelta rinnovata giorno dopo giorno. Amare una persona implica coltivare deliberatamente queste qualità, rendendole parte del proprio modo di essere nella relazione e rispondendo, nel tempo, alla domanda profonda su cosa significa amare davvero.

    Queste qualità fondamentali si sviluppano pienamente solo quando impariamo prima ad amare noi stessi, base di ogni relazione autentica.

    Amare se stessi: il fondamento necessario per amare gli altri

    In uno studio di psicoterapia, una donna sulla quarantina siede con le spalle leggermente curve, lo sguardo che evita il contatto diretto. Racconta di una relazione appena conclusa, l’ennesima in cui si è sentita “troppo poco”. Le sue mani si muovono nervosamente mentre descrive come cerchi di adattarsi costantemente alle aspettative del partner, perdendo gradualmente il contatto con i propri desideri e bisogni. Si osserva in questo corpo teso e in queste parole esitanti una verità fondamentale: saper amare non è da tutti perché implica prima di tutto una relazione sana con se stessi. Questa capacità di amare autenticamente se stessi rappresenta il terreno necessario da cui può sbocciare ogni altra forma di amore.

    Imparare ad amare se stessi rappresenta il terreno fertile da cui può germogliare ogni altra forma di amore. Non si tratta di narcisismo o di egocentrismo, ma di un riconoscimento profondo del proprio valore intrinseco. Durante i percorsi terapeutici, si nota come le difficoltà relazionali spesso affondino le radici in una scarsa autostima, in una tendenza a cercare all’esterno una validazione che dovrebbe nascere dall’interno. Una persona che non ha imparato ad amare se stessa tende a costruire relazioni sbilanciate, caratterizzate da dipendenza emotiva o da un bisogno costante di approvazione. Saper amare non è da tutti proprio perché richiede prima questo viaggio interiore di autoaccettazione e valorizzazione di sé.

    Fromm ci invita a riconsiderare l’amore per sé non come espressione di egoismo, ma come precondizione necessaria per amare autenticamente gli altri. Solo chi ha sviluppato un senso di integrità e accettazione di sé può avvicinarsi all’altro senza aspettative irrealistiche o richieste implicite, offrendo un amore che nasce dalla pienezza, non dalla mancanza. L’amare in questo senso maturo diventa possibile solo quando abbiamo imparato a riconoscere e rispettare prima noi stessi. Saper amare non è da tutti perché questo equilibrio tra amore di sé e amore per gli altri rappresenta una delle sfide più complesse dello sviluppo emotivo umano.

    Differenza tra egoismo e amore per sé

    Durante un gruppo di crescita personale, un partecipante confessa con imbarazzo: “Ho sempre pensato che prendermi cura di me fosse egoista”. Altri annuiscono, riconoscendosi in quell’affermazione. Si percepisce in queste parole una confusione diffusa, un malinteso che equipara l’amore per sé all’egocentrismo. Questa persona descrive come sacrifichi sistematicamente i propri bisogni per gli altri, considerando questo comportamento una virtù, per poi ritrovarsi svuotata e risentita. Amare se stessi viene erroneamente confuso con l’egoismo, quando in realtà rappresenta un prerequisito per relazioni equilibrate.

    Nel contesto clinico, si osserva frequentemente come l’incapacità di distinguere tra egoismo e sano amore per sé porti a dinamiche relazionali disfunzionali. L’egoista cerca di ottenere tutto dagli altri senza dare nulla in cambio; chi ama se stesso, invece, riconosce il proprio valore e i propri bisogni, ma è anche capace di dare genuinamente. Cosa significa amare se stessi se non riconoscere la propria dignità di esseri umani completi, meritevoli di rispetto e attenzione tanto quanto gli altri? Questa distinzione è fondamentale per comprendere perché saper amare non è da tutti: richiede una chiarezza interiore che molti non hanno ancora sviluppato.

    Un uomo di mezza età, durante una seduta, racconta di come abbia sempre anteposto la carriera e le richieste degli altri ai propri desideri autentici. “Mi sono reso conto che non mi sono mai davvero chiesto cosa volessi io”, dice con una nota di stupore nella voce. Questo momento di consapevolezza segna l’inizio di un percorso verso una relazione più sana con se stesso, condizione indispensabile per amare gli altri senza dipenderne emotivamente. Amare significa prima di tutto onorare la propria verità interiore, un passaggio che molti faticano a compiere.

    La distinzione che Fromm traccia è sottile ma cruciale: amare se stessi non significa considerarsi superiori o più importanti degli altri, ma riconoscersi come esseri di valore intrinseco. Non significa cercare esclusivamente il proprio vantaggio, ma piuttosto sviluppare una relazione di rispetto e cura verso la propria persona, esattamente come si farebbe con qualcuno a cui si vuole bene. Si nota come le persone che hanno sviluppato questa capacità tendano ad avvicinarsi agli altri da una posizione di equilibrio, non di bisogno. Saper amare non è da tutti perché presuppone questo delicato equilibrio tra cura di sé e apertura all’altro.

    L’egoista, paradossalmente, non ama veramente se stesso, ma piuttosto un’immagine idealizzata di sé che cerca costantemente di proteggere o di imporre agli altri. Chi ha imparato ad amarsi, invece, accetta con compassione anche le proprie imperfezioni e vulnerabilità, creando così lo spazio per accogliere quelle degli altri. Questa capacità di amare autenticamente se stessi diventa la base da cui può nascere un modo maturo di amare una persona in modo profondo e genuino.

    Autostima e integrità nell’amore

    Nel corso di una cerimonia nuziale, si nota una sposa che, prima di pronunciare i voti, si prende un momento di silenzio. Non è nervosismo, ma una pausa consapevole, un centrarsi in se stessa prima di compiere questo passo. Questo gesto apparentemente minimo rivela una qualità essenziale: l’integrità personale, la capacità di rimanere in contatto con sé anche nel momento di massima connessione con l’altro. L’autostima autentica si manifesta proprio in questa capacità di mantenere un senso di sé anche nella fusione emotiva che l’amore comporta. Saper amare non è da tutti perché richiede questa solida presenza interiore che molti non hanno ancora coltivato.

    Si osserva nelle relazioni più equilibrate come entrambi i partner abbiano sviluppato una solida autostima, che permette loro di entrare in intimità senza perdersi. Durante le sessioni di terapia di coppia, queste persone mostrano la capacità di esprimere i propri bisogni e desideri senza aggressività né sottomissione, di stabilire confini chiari senza erigere muri, di fare spazio all’altro senza dissolversi. Amare significato trova nell’equilibrio tra connessione e autonomia, tra apertura e mantenimento della propria integrità. Questa capacità di rimanere interi anche nella profonda intimità con l’altro è parte essenziale dell’arte di amare.

    Un aspetto spesso trascurato dell’amore per sé è la fedeltà ai propri valori e convinzioni profonde. Una donna racconta di come, in passato, modificasse costantemente le proprie opinioni per compiacere il partner, fino a non riconoscere più la propria voce interiore. “Ho capito che non potevo amare veramente qualcuno se prima tradivo me stessa”, conclude, descrivendo il percorso che l’ha portata a riappropriarsi della propria autenticità. Amare profondamente un’altra persona diventa possibile solo quando siamo in grado di rimanere fedeli alla nostra verità interiore.

    L’integrità nell’amore si manifesta nella capacità di rimanere fedeli a se stessi anche nei momenti di disaccordo o conflitto. Non si tratta di rigidità o incapacità di compromesso, ma di una coerenza interna che permette di essere flessibili senza disperdersi. Chi possiede questa qualità non teme di mostrarsi vulnerabile o di ammettere i propri errori, perché sa che il valore personale non dipende dalla perfezione o dall’approvazione altrui. Saper amare non è da tutti perché richiede questo radicamento nella propria essenza, questa capacità di rimanere centrati anche quando l’amore ci invita all’apertura e alla vulnerabilità.

    BOX CLINICO: “Quando l’amore non basta: il caso di M.”

    M., una donna di 35 anni, arriva in psicoterapia dopo la fine del suo terzo fidanzamento in cinque anni. “Tutti mi dicono che do troppo”, spiega con un sorriso triste. Durante il percorso terapeutico, emerge un pattern: M. si dedica completamente al partner, anticipando ogni suo bisogno, sacrificando i propri interessi e amicizie. Inizialmente, questa dedizione totale sembra funzionare, ma gradualmente i partner si allontanano, lamentando la sua “eccessiva presenza” o “dipendenza”.

    In una seduta cruciale, M. realizza: “Faccio tutto questo non per amore, ma perché temo di non valere abbastanza da sola”. Questo insight rivela la radice del problema: non un eccesso di amore, ma una mancanza di amore per sé. Il suo dare non nasce da un’abbondanza interiore, ma da un vuoto che cerca disperatamente di colmare attraverso l’approvazione esterna. Saper amare non è da tutti, e nel caso di M. il percorso parte proprio dalla riscoperta del proprio valore intrinseco.

    Il percorso di M. si trasforma quindi in un viaggio verso l’amore di sé: impara gradualmente a riconoscere e rispettare i propri bisogni, a coltivare interessi autonomi, a tollerare la solitudine. “La cosa più difficile”, confessa un giorno, “è credere di meritare amore anche quando non sto facendo nulla per gli altri”. Questa è l’essenza dell’amare se stessi: riconoscere il proprio valore indipendentemente dalla propria utilità per gli altri.

    Nell’infinita varietà del sentire umano, l’amore si declina in forme diverse, ciascuna con la propria verità e profondità.

    Amori plurali: imparare ad amare in ogni forma

    Nella sala d’attesa di uno studio medico, un anziano uomo sorregge delicatamente la mano della moglie, accarezzandola con un gesto che pare contenere decenni di intimità. Poco distante, una madre culla il suo bambino, sussurrandogli parole comprensibili solo a loro. Due amiche, sedute l’una accanto all’altra, condividono un momento di complicità silenziosa davanti a una notizia ricevuta sul telefono. In questi tre quadri che si compongono casualmente nello stesso spazio, si manifestano forme diverse dello stesso fenomeno: l’amore nelle sue molteplici declinazioni. Saper amare non è da tutti poiché implica la capacità di riconoscere e onorare questa pluralità, adattando il proprio modo di amare alla natura specifica di ogni relazione.

    Fromm identifica diverse forme di amore, ciascuna con caratteristiche proprie e peculiari modalità espressive. Queste non sono compartimenti stagni, ma piuttosto sfumature di una stessa capacità umana fondamentale. Durante i percorsi terapeutici, si osserva come le difficoltà relazionali nascano spesso dalla confusione tra queste forme, o dall’incapacità di distinguere quale tipo di amore sia appropriato in un determinato contesto. Una persona che tratta l’amico come un partner romantico, o il partner come un figlio, crea inevitabilmente dinamiche disfunzionali. Saper amare non è da tutti anche perché richiede questa flessibilità e questa capacità di discernimento tra le varie espressioni dell’amore.

    Imparare ad amare significa sviluppare una sensibilità verso queste diverse forme, comprendendo che ciascuna ha il suo specifico linguaggio e le sue proprie regole. Non esiste una gerarchia tra queste espressioni d’amore; ognuna ha una sua dignità e completezza, rispondendo a bisogni fondamentali dell’esperienza umana. L’arte di amare include la capacità di muoversi con fluidità tra queste diverse forme, riconoscendo che l’amare autentico si manifesta in una pluralità di modi, tutti ugualmente preziosi e necessari per una vita relazionale completa.

    Amore romantico, fraterno e materno

    Durante una festa di famiglia, si possono osservare le sottili differenze nel modo in cui l’amore si manifesta attraverso i gesti, le parole, gli sguardi. Una coppia si tiene per mano sotto il tavolo, scambiandosi occasionalmente sguardi complici. Due fratelli, che poco prima discutevano animatamente, ora si abbracciano con spontanea riconciliazione. Una nonna osserva con occhi protettivi il nipote che gioca, pronta a intervenire al minimo segnale di bisogno. Queste espressioni non sono versioni imperfette l’una dell’altra, ma manifestazioni complete di forme d’amore distinte e ugualmente valide. Saper amare non è da tutti perché implica il riconoscimento e la valorizzazione di questa pluralità espressiva.

    L’amore romantico, con la sua componente di esclusività e passione erotica, rappresenta forse la forma più celebrata nella cultura contemporanea. Eppure, osservando le dinamiche delle coppie in terapia, emerge quanto sia complesso amare una persona in modo equilibrato, integrando la passione con l’amicizia, il desiderio con il rispetto. Una donna racconta di come, dopo anni di relazioni intense ma brevi, abbia scoperto che “l’amore vero è meno drammatico di quanto mostrano i film, ma più profondo di quanto immaginassi”. Questa forma d’amore, quando matura, combina l’attrazione fisica con una connessione emotiva duratura, creando uno spazio in cui entrambi i partner possono crescere mantenendo la propria individualità. Amare una persona romanticamente richiede un equilibrio delicato tra desiderio e rispetto dell’alterità.

    L’amore fraterno, o filía, si manifesta nelle amicizie profonde, nei legami tra fratelli e sorelle, nelle relazioni collaborative in cui ci si riconosce come pari. Un uomo descrive l’amicizia trentennale con il suo migliore amico: “Non ci sentiamo tutti i giorni, ma so che c’è, sempre, e lui sa lo stesso di me”. Questa forma d’amore si nutre di reciprocità e libertà, di un rispetto che non richiede possesso né esclusività.

    Nelle sessioni di gruppo, si nota come le persone capaci di coltivare amicizie solide mostrano anche una maggiore resilienza nelle difficoltà della vita, avendo sviluppato una rete di supporto emotivo che trascende i legami familiari o romantici. Saper amare non è da tutti anche perché include la capacità di nutrire questi legami orizzontali di amicizia autentica.

    L’amore materno rappresenta il paradigma dell’amore incondizionato, che si manifesta primariamente nella relazione genitoriale ma può estendersi ad altre forme di cura. Una madre in psicoterapia descrive la trasformazione avvenuta in lei alla nascita del primo figlio: “È stato come se una parte di me fosse improvvisamente fuori di me, vulnerabile nel mondo”. Questa capacità di amare senza aspettarsi nulla in cambio, pur mantenendo la propria identità separata, costituisce forse la forma più pura di donazione. Non è esclusiva delle donne né dei genitori biologici: si osserva in chiunque sviluppi la capacità di prendersi cura dell’altro in modo disinteressato, sostenendone la crescita e l’autonomia. Amare in questo modo materno significa dare senza calcolare il ritorno.

    Queste forme d’amore non sono mutualmente esclusive, ma possono coesistere e arricchirsi reciprocamente. Una relazione romantica matura contiene elementi di filía nel rispetto reciproco, e aspetti dell’amore materno nella cura dell’altro. La capacità di riconoscere e integrare queste diverse modalità è parte essenziale dell’arte di amare. Saper amare non è da tutti proprio perché richiede questa flessibilità e complessità nell’approccio relazionale, questo riconoscimento che l’amare può e deve manifestarsi in forme diverse a seconda del contesto e della relazione specifica.

    Amore per l’umanità e amore spirituale

    In una comunità colpita da un disastro naturale, si osserva un fenomeno ricorrente: persone sconosciute si organizzano spontaneamente per aiutare chi ha perso tutto, condividendo risorse, tempo, competenze. In questi momenti straordinari si manifesta una forma d’amore che trascende i legami personali diretti: l’amore per l’umanità, che Fromm chiama agape. Non è un sentimento astratto o idealizzato, ma una forza concreta che si esprime nell’azione, nella capacità di riconoscere negli estranei una comune appartenenza. Saper amare non è da tutti perché include questa capacità di estendere il proprio cerchio di cura oltre i confini delle relazioni immediate.

    Durante le sessioni di psicoterapia, si nota come le persone capaci di amare profondamente a livello individuale spesso estendano naturalmente questa capacità verso una dimensione più ampia. Un uomo racconta di come, dopo un periodo di volontariato in un paese in guerra, la sua percezione delle notizie sia cambiata radicalmente: “Non sono più numeri, statistiche… vedo volti, storie, persone come me”. Questa trasformazione dello sguardo rappresenta l’essenza dell’amore per l’umanità: la capacità di percepire la connessione profonda con gli altri esseri umani, al di là delle differenze superficiali. Amare profondamente in questa dimensione collettiva significa superare i confini dell’individualismo per riconoscere la nostra interdipendenza fondamentale.

    L’amore spirituale introduce una dimensione ulteriore, trascendente, che si manifesta in varie forme a seconda delle culture e delle tradizioni. In molte pratiche contemplative, si osserva come la meditazione regolare sviluppi gradualmente una qualità di presenza e apertura verso l’esistenza stessa. Una donna descrive l’esperienza vissuta durante un ritiro: “È stato come se i confini tra me e il mondo si fossero dissolti per un momento… ho sentito che tutto era connesso”.

    Questa percezione di unità, che va oltre l’esperienza ordinaria della separazione, rappresenta una forma d’amore che abbraccia non solo gli esseri umani ma l’intera realtà. Saper amare non è da tutti perché include anche questa capacità di trascendere il senso limitato di sé per aprirsi a una connessione più vasta.

    Nel contesto terapeutico, si nota come le persone che coltivano una dimensione spirituale – indipendentemente dalla specifica tradizione religiosa – spesso mostrano una maggiore capacità di affrontare le difficoltà esistenziali, trovando significato anche nelle esperienze dolorose. Un anziano paziente terminale confida: “Non ho paura di morire, perché sento che la parte più profonda di me è connessa a qualcosa che non finisce”. Questa forma d’amore offre una prospettiva che trascende l’individualità e la temporalità, permettendo di vivere con maggiore pienezza e serenità il momento presente. Amare significato trova anche in questa dimensione trascendente, che illumina cosa significa amare oltre il legame personale, dando profondità e orizzonte all’esperienza umana.

    L’amore per l’umanità e l’amore spirituale, lungi dall’essere astrazioni filosofiche, possono manifestarsi concretamente nel quotidiano: nella capacità di reagire con compassione di fronte alla sofferenza altrui, nella disponibilità a impegnarsi per cause che trascendono l’interesse personale, nella gratitudine per il semplice fatto di esistere. Queste forme d’amore espandono i confini del sé, creando un senso di appartenenza che nutre e dà significato alla vita individuale. Saper amare non è da tutti perché implica questa progressiva espansione del cerchio della cura, dal sé all’altro, dalla coppia alla comunità, fino ad abbracciare potenzialmente tutta l’esistenza.

    In questa pluralità di forme, un dialogo silenzioso si svolge costantemente tra il desiderio del corpo e la comprensione della mente.

    Eros e Logos: il dialogo silenzioso tra corpo e mente nell’amore

    In un teatro di danza contemporanea, due corpi si cercano, si allontanano, tornano a incontrarsi in un dialogo fatto di tensione e armonia. I loro movimenti raccontano una storia che le parole non potrebbero esprimere con la stessa immediatezza: il delicato equilibrio tra passione e pensiero, tra istinto e consapevolezza. Si nota, in questa coreografia, la rappresentazione visiva di ciò che Fromm identifica come la dialettica fondamentale dell’amore autentico: l’integrazione tra Eros – l’energia pulsionale, il desiderio che nasce dal corpo – e Logos – la dimensione razionale, la comprensione che deriva dalla mente. Saper amare non è da tutti proprio perché richiede la capacità di abitare questa tensione creativa, senza cedere completamente a uno dei due poli.

    Nelle dinamiche relazionali, si osserva frequentemente lo squilibrio tra queste dimensioni. Alcune persone vivono l’amore esclusivamente sul piano della passione, lasciandosi guidare dall’intensità del desiderio senza integrarlo con la riflessione e la consapevolezza. Altri, al contrario, intellettualizzano l’esperienza amorosa, analizzando ogni emozione e reazione, tenendo a distanza la vulnerabilità e l’abbandono che il corpo richiede. Durante i percorsi terapeutici, questi squilibri emergono nei racconti, ma anche nella postura, nel tono della voce, nel modo stesso in cui le persone parlano delle proprie esperienze d’amore. Saper amare non è da tutti anche perché implica questo difficile equilibrio tra abbandono e consapevolezza, tra impulso e riflessione.

    Fromm ci invita a considerare Eros e Logos non come forze contrapposte, ma come dimensioni complementari che, quando integrate armoniosamente, permettono un’esperienza d’amore piena e matura. Questa integrazione non avviene spontaneamente, ma richiede un lavoro interiore costante, una disponibilità ad ascoltare tanto il linguaggio del corpo quanto quello della mente. L’amare autentico si nutre di questa doppia dimensione: la passione che dà energia e vitalità alla relazione, e la consapevolezza che le conferisce profondità e significato. Saper amare non è da tutti perché questa integrazione rappresenta una delle sfide più complesse dello sviluppo emotivo umano.

    Dall’innamoramento all’amore consapevole

    Durante i primi incontri di una coppia, si osserva spesso un fenomeno caratteristico: i corpi si inclinano impercettibilmente l’uno verso l’altro, gli sguardi rimangono connessi più a lungo del consueto, le pupille si dilatano in presenza dell’altro. Questa danza non verbale dell’attrazione si accompagna a una particolare alterazione dello stato di coscienza: una sorta di tunnel percettivo in cui l’altro appare circonfuso di luce, mentre il resto del mondo sembra sfumare sullo sfondo. L’innamoramento, con la sua potente biochimica, crea una temporanea sospensione del giudizio critico, permettendo quella vicinanza iniziale necessaria per la formazione del legame. Saper amare non è da tutti proprio perché richiede la capacità di andare oltre questa fase iniziale, per quanto intensa e gratificante.

    Nelle sedute con coppie in crisi, si nota come molti rimpiangano questa fase iniziale, considerandola “il vero amore” e interpretando il suo inevitabile affievolirsi come segno di un problema. “Non sento più le farfalle nello stomaco”, lamenta una donna dopo tre anni di relazione stabile. La narrativa culturale dominante, che identifica l’amore principalmente con l’intensità emotiva dell’innamoramento, crea aspettative irrealistiche sulla durata di questo stato alterato di coscienza. Cosa significa amare in modo maturo se non superare questa visione romanticizzata per abbracciare una forma di connessione più profonda e consapevole?

    Il passaggio dall’innamoramento all’amore maturo rappresenta non una perdita ma un’evoluzione necessaria. Una coppia in terapia da lungo tempo descrive questo processo: “All’inizio era tutto istinto, non riuscivamo a stare lontani… ora c’è qualcosa di più profondo, una scelta quotidiana di vederci veramente”. Questo graduale spostamento dall’automatismo della passione alla consapevolezza della scelta rappresenta cosa significa amare in modo autentico e duraturo. Saper amare non è da tutti perché implica la capacità di valorizzare e nutrire questa trasformazione, anziché resistere ad essa o interpretarla come un segnale di deterioramento della relazione.

    L’amore consapevole integra l’energia di Eros con la lucidità di Logos, permettendo di vedere l’altro non più attraverso il filtro della proiezione idealizzante, ma nella sua concreta realtà, con limiti e contraddizioni. Paradossalmente, è proprio questa visione più realistica che rende possibile un amore più profondo. Si osserva, nelle coppie che hanno superato con successo questa transizione, una qualità diversa della presenza: meno inebriante forse, ma più solida e nutriente. Amare significa accettare e accompagnare questa evoluzione naturale del legame, riconoscendo che il passaggio dall’infatuazione all’amore maturo non diminuisce ma arricchisce l’esperienza relazionale.

    Il passaggio dall’innamoramento all’amore maturo non segue un percorso lineare ma ciclico, con momenti di maggiore o minore intensità. Nelle relazioni sane, si nota come i partner sappiano coltivare consapevolmente spazi di rinnovamento della passione, senza però dipenderne per la stabilità del legame. Come osserva un uomo durante una sessione di coppia: “A volte riscopriamo quella magia dei primi tempi, ma ora sappiamo che non è quella a tenerci insieme nei giorni difficili”. Saper amare non è da tutti perché include la saggezza di integrare questi diversi momenti in una narrazione coerente che valorizza tanto la passione quanto la profondità.

    Il ruolo del desiderio nelle relazioni durature

    In un letto condiviso per decenni, due corpi anziani si cercano nel buio con una familiarità che non ha cancellato la curiosità. Questo semplice gesto notturno rivela una verità spesso trascurata: il desiderio, lungi dall’essere prerogativa esclusiva delle nuove relazioni, può mantenersi e trasformarsi nel tempo, diventando più complesso e sfumato, ma non meno vitale. Nelle coppie di lunga data che mantengono una relazione soddisfacente, si osserva come il desiderio non sia semplicemente sopravvissuto, ma si sia evoluto, integrando l’attrazione fisica con una profonda conoscenza emotiva dell’altro. Saper amare non è da tutti anche perché include la capacità di nutrire e rinnovare il desiderio oltre l’infatuazione iniziale.

    Durante le sedute di psicoterapia sessuale, emerge frequentemente la credenza che il desiderio debba manifestarsi sempre come un impulso spontaneo e irresistibile. “Non lo desidero più come all’inizio, quindi forse non lo amo più”, confida una donna dopo quindici anni di matrimonio. Questa concezione porta spesso a interpretare erroneamente le naturali fluttuazioni del desiderio come segnali di un problema fondamentale nella relazione. Amare significato più profondo trova proprio nell’accettazione di queste oscillazioni, nella comprensione che il desiderio maturo non è sempre immediato ma può essere coltivato consapevolmente. Questa verità controintuitiva – che il desiderio può essere sia spontaneo che intenzionale – rappresenta una delle scoperte più importanti per chi vuole sviluppare relazioni durature.

    Il concetto di desiderio responsivo, in contrasto con quello spontaneo, offre una chiave di lettura importante: molte persone, specialmente nelle relazioni di lunga data, sperimentano un desiderio che si risveglia in risposta alla vicinanza e all’intimità, piuttosto che precederle. Un uomo descrive questa dinamica: “All’inizio non sento un particolare desiderio, ma quando ci avviciniamo, quando iniziamo a toccarci, qualcosa si risveglia”. Questa forma di desiderio, non meno autentica di quella spontanea, richiede però una consapevolezza e una disponibilità che il desiderio impulsivo non necessita. Amare profondamente include la capacità di riconoscere e onorare entrambe queste modalità del desiderare, senza privilegiarne una a scapito dell’altra.

    Nelle relazioni durature, si nota come i partner che mantengono viva la dimensione erotica abbiano sviluppato una particolare qualità di presenza e attenzione. Non danno per scontata la vicinanza fisica, ma la rinnovano attraverso piccoli rituali quotidiani: un bacio non frettoloso al mattino, un contatto non casuale durante la giornata, momenti di intimità non necessariamente sessuale ma comunque fisica. Questa cura consapevole del corpo e della sua espressività mantiene aperto il canale di comunicazione non verbale che nutre il desiderio. Saper amare non è da tutti perché richiede questa attenzione costante alla dimensione fisica della relazione, questo impegno a non dare per scontata l’intimità corporea anche dopo anni di consuetudine.

    BOX CLINICO: “Tra desiderio e ritiro: il corpo che non osa”

    A., una donna di 42 anni, si presenta in psicoterapia lamentando la “scomparsa del desiderio” dopo dieci anni di matrimonio. Durante le prime sedute, mentre parla, il suo corpo comunica qualcosa di significativo: le spalle sono contratte, le braccia spesso incrociate sul petto, le mani raramente lasciano il grembo. Questa postura difensiva si accentua quando menziona situazioni di intimità.

    Gradualmente emerge una dissociazione sottile: A. vive principalmente “dalla testa in su”, con scarsa consapevolezza delle sensazioni corporee. Racconta che fin dall’adolescenza ha imparato a ignorare i segnali del corpo, considerandoli distrazioni da controllare. La sessualità nei primi anni di matrimonio era guidata più dalle aspettative e dai modelli culturali che da un’autentica connessione con il proprio desiderio. Questo caso illustra perfettamente perché saper amare non è da tutti: richiede un’integrazione tra mente e corpo che molte persone, per varie ragioni, non hanno potuto sviluppare.

    Il percorso terapeutico si focalizza sul ristabilire una comunicazione con il corpo attraverso pratiche di mindfulness somatica. In una seduta cruciale, A. realizza con sorpresa: “Il desiderio non è scomparso… semplicemente non l’ho mai ascoltato veramente. Ero troppo occupata a pensare a come dovrebbe essere”.

    Questo insight apre la strada a un diverso approccio all’intimità, basato non più su script esterni ma sull’ascolto del proprio corpo. A. inizia a notare come il desiderio si manifesti in modo sottile, attraverso segnali che prima ignorava. “È come imparare una nuova lingua”, osserva, “quella del mio corpo che ha sempre cercato di comunicare con me”. Amare una persona in modo completo significa anche riconnettere con questa saggezza corporea troppo spesso trascurata.

    Talvolta, ciò che più ostacola il nostro cammino verso l’altro è l’immagine distorta che abbiamo di noi stessi.

    Il narcisismo come ostacolo all’amore autentico

    In una galleria d’arte contemporanea, un visitatore si ferma davanti a un’installazione fatta di specchi frammentati. Mentre osserva il proprio riflesso moltiplicato e distorto, un’espressione di disagio attraversa il suo volto. Quest’immagine cattura l’essenza del narcisismo: una visione di sé simultaneamente ingrandita e frammentata, che impedisce di vedere veramente l’altro. Nelle relazioni segnate dal narcisismo, si osserva come lo sguardo non riesca mai a posarsi autenticamente sull’altro, ma cerchi costantemente di ritrovare in esso il proprio riflesso. Saper amare non è da tutti soprattutto perché richiede la capacità di uscire dalla prigione degli specchi, di abbandonare l’illusione della propria centralità per entrare in un autentico spazio di incontro.

    Il narcisismo rappresenta forse l’ostacolo più insidioso all’amore autentico, proprio perché spesso si maschera da amore. Durante le sessioni terapeutiche, emerge come molte persone con tratti narcisistici descrivano i propri sentimenti con un linguaggio apparentemente carico di passione e dedizione. Eppure, ascoltando attentamente, si nota come questa presunta intensità emotiva sia in realtà centrata sul sé: l’altro viene amato non per ciò che è, ma per come fa sentire, per lo status che conferisce, per il vuoto che temporaneamente riempie. Saper amare non è da tutti perché implica il superamento di questa tendenza narcisistica insita, in varia misura, in ciascuno di noi: la tendenza a usare l’altro come specchio o estensione di sé.

    Fromm distingue nettamente tra l’amore di sé sano e il narcisismo patologico. Se il primo costituisce la base necessaria per ogni relazione autentica, il secondo ne rappresenta la negazione, trasformando l’altro in uno strumento per nutrire un’immagine di sé fragile e gonfiata. Questa dinamica distrugge gradualmente la possibilità di una vera connessione, sostituendola con un simulacro di relazione in cui l’unico protagonista reale è il narcisista e il suo bisogno insaziabile di conferme.

    L’amare autentico richiede una continua vigilanza contro queste tendenze narcisistiche, un costante lavoro di decentramento che permetta di vedere l’altro nella sua realtà autonoma e non come proiezione dei propri bisogni o desideri. Lo specchio del narcisismo riflette solo l’immagine del sé: da qui si apre il confine sottile che separa l’amore autentico dalla sua illusione.

    Narcisismo versus amore autentico

    Durante una festa di compleanno, un uomo interrompe ripetutamente il discorso di ringraziamento della festeggiata, sua partner, per aggiungere aneddoti che lo mettono in buona luce. Gli invitati notano con imbarazzo come ogni conversazione venga sistematicamente riportata a lui, alle sue esperienze, ai suoi successi. In questo comportamento apparentemente innocuo si manifesta una dinamica profonda: l’incapacità di fare spazio all’altro, di permettergli di esistere come soggetto separato e non come estensione di sé. Amare significa innanzitutto riconoscere e rispettare l’alterità dell’altro, la sua esistenza indipendente dai nostri desideri e aspettative. Saper amare non è da tutti proprio perché richiede questa capacità di decentramento dell’ego che il narcisista non può tollerare.

    Nel contesto terapeutico, si osserva come le relazioni con persone narcisistiche seguano un pattern ricorrente. Inizialmente, la persona narcisistica mostra un interesse intenso, quasi abbagliante, che fa sentire l’altro speciale e profondamente compreso. Questa fase di idealizzazione, tuttavia, dura solo finché l’altro conferma l’immagine grandiosa che il narcisista ha di sé. Alla prima delusione, al primo disaccordo, emerge l’incapacità fondamentale di tollerare la diversità dell’altro. Cosa significa amare se non proprio accettare che l’altro rimanga altro, con desideri, pensieri e sentimenti che possono differire dai nostri? Questa accettazione dell’alterità rappresenta la differenza fondamentale tra l’amore autentico e il suo simulacro narcisistico.

    Una donna descrive la sua relazione con un partner narcisista: “Mi sentivo contemporaneamente al centro del mondo e invisibile. Mi adorava, ma non mi vedeva”. Questa apparente contraddizione rivela l’essenza del problema: amare una persona implica vederla nella sua realtà concreta, con bisogni e desideri legittimi quanto i propri. Il narcisista, invece, vede nell’altro solo un riflesso di sé, un oggetto che deve adattarsi ai propri bisogni o essere scartato. Saper amare non è da tutti perché richiede la disponibilità a vedere l’altro nella sua realtà autonoma, ad accettare che non sia semplicemente un’estensione o un riflesso di noi stessi.

    La vera distinzione tra narcisismo e amore autentico risiede nella direzione dell’energia psichica: nel narcisismo, ogni investimento emotivo torna ultimamente al sé; nell’amore, l’energia fluisce liberamente verso l’altro senza calcoli di ritorno. Durante una sessione particolarmente intensa, un uomo realizza con dolorosa chiarezza: “Non l’ho mai amata veramente… ho amato l’idea di essere l’uomo che l’amava”. Questa consapevolezza, pur dolorosa, rappresenta il primo passo verso la possibilità di un amore più autentico. Amare una persona significa vederla per ciò che è, non per ciò che rappresenta per noi o per il nostro bisogno di conferma.

    Nelle relazioni sane, si nota come l’amore non richieda la cancellazione dell’altro né la sua idealizzazione, ma piuttosto il costante esercizio di vederlo nella sua realtà, con i suoi limiti e le sue contraddizioni. Questo sguardo, che non pretende perfezione né completezza, permette un’intimità molto più profonda di quella illusoria creata dalla proiezione narcisistica. Saper amare una persona non è da tutti perché implica la rinuncia alla fantasia di perfetto controllo e prevedibilità dell’altro, accettando invece l’incertezza e la sorpresa che ogni relazione autentica necessariamente comporta.

    Superare l’egocentrismo per amare veramente

    In un laboratorio di teatro, un esercizio richiede ai partecipanti di descrivere lo stesso evento dal punto di vista di diversi personaggi. Alcuni si trovano sorprendentemente in difficoltà, incapaci di abbandonare la propria prospettiva per assumere quella altrui. Questa semplice osservazione rivela quanto sia radicato l’egocentrismo nella nostra percezione quotidiana e quanto impegno richieda superarlo. Amare profondamente implica proprio questa capacità: uscire dai confini della propria visione limitata per accogliere quella dell’altro, non come minaccia alla propria, ma come suo complemento necessario. Saper amare non è da tutti perché questo decentramento rappresenta una delle sfide evolutive più complesse dell’esperienza umana.

    Nel percorso terapeutico, si nota come il superamento dell’egocentrismo rappresenti una delle sfide più significative e trasformative. Un uomo racconta il momento di svolta nella sua relazione: “Un giorno mi sono reso conto che non le avevo mai chiesto veramente cosa provasse, cosa desiderasse… le parlavo continuamente di me, dei miei problemi, dei miei progetti. Improvvisamente ho visto quanto fossi assente dalla relazione pur essendo fisicamente presente”. Questa presa di coscienza segna l’inizio di un cammino di decentramento, in cui imparare ad amare significa, prima di tutto, imparare ad ascoltare davvero. Amare profondamente include necessariamente questa disponibilità a mettere tra parentesi, almeno temporaneamente, le proprie preoccupazioni per fare spazio all’esperienza dell’altro.

    L’egocentrismo si manifesta in forme sottili anche nelle persone che non presentano un narcisismo conclamato. Si osserva, ad esempio, nella tendenza a interpretare i comportamenti dell’altro esclusivamente in relazione a sé (“lo fa apposta per infastidirmi”), o nell’incapacità di riconoscere che l’altro possa avere una percezione completamente diversa della stessa situazione. Superare queste limitazioni richiede un allenamento costante dell’empatia, la capacità di mettersi autenticamente nei panni dell’altro senza perdere il contatto con sé. Saper amare non è da tutti proprio perché questo equilibrio tra autocontatto ed empatia richiede una maturità emotiva che molti non hanno avuto l’opportunità di sviluppare.

    Una delle manifestazioni più comuni dell’egocentrismo nelle relazioni è il desiderio di cambiare l’altro per adattarlo alle proprie aspettative. Durante le sessioni di coppia, emerge frequentemente questa dinamica: “Sarebbe perfetto se solo cambiasse questo aspetto”. Ciò che rende difficile riconoscere questa tendenza come problematica è che spesso viene mascherata da preoccupazione per il bene dell’altro. Eppure, a un esame più attento, si nota come questo desiderio di cambiamento sia radicato nella difficoltà di accettare la diversità e l’autonomia dell’altro. Amare una persona significa accettarla nella sua interezza, non selezionando solo gli aspetti che ci piacciono o ci fanno sentire a nostro agio.

    BOX CLINICO: “Specchi infranti: la relazione con un narcisista”

    L., 38 anni, inizia la psicoterapia dopo la fine di una relazione durata cinque anni con P., descritto inizialmente come “l’amore della mia vita, ma troppo complicato”. Nel corso delle sedute, emerge gradualmente il pattern della relazione: intensi momenti di intimità e passione alternati a improvvisi allontanamenti e critiche da parte di P.

    “Mi sentivo sempre in bilico”, racconta L., “un giorno ero perfetta, l’indomani insufficiente”. Ogni tentativo di esprimere bisogni o disagio veniva ritorto contro di lei, accusata di essere “troppo esigente” o “emotivamente instabile”. Particolarmente dolorosa era la sensazione che P. la vedesse solo quando rifletteva l’immagine che lui desiderava. Questo caso illustra perfettamente perché saper amare non è da tutti: chi è intrappolato nel narcisismo non può vedere veramente l’altro, ma solo la propria immagine riflessa in esso.

    Un episodio rivelatore: durante una cena con amici, L. ha ricevuto complimenti per un suo successo professionale. P., inizialmente silenzioso, ha poi raccontato un aneddoto umiliante sul loro primo incontro, sminuendo sottilmente le capacità di L. In privato, l’ha poi accusata di “accentrare l’attenzione” e di “metterlo in ombra”.

    Il percorso di guarigione di L. passa attraverso il riconoscimento delle dinamiche narcisistiche e del suo ruolo in esse. Gradualmente comprende come la relazione fosse strutturata attorno ai bisogni di P., mentre i suoi venivano sistematicamente ignorati o patologizzati. “La cosa più difficile da accettare”, confida in una seduta avanzata, “è che non mi ha mai veramente vista. Amava un’immagine di me che lui stesso aveva creato”. Amare profondamente una persona implica la capacità di vederla nella sua realtà autonoma, non come proiezione dei propri desideri o bisogni.

    In un’epoca che trasforma ogni esperienza in merce, anche l’amore rischia di diventare un prodotto da consumare piuttosto che un’arte da coltivare.

    L’amore che non si compra: affetti nell’epoca del consumo

    Nel corridoio di un centro commerciale affollato, una coppia discute davanti alla vetrina di un negozio di gioielli. Lui indica un anello costoso, sussurrando che “questo dimostrerebbe quanto ti amo”. Lei osserva l’oggetto con espressione dubbiosa, poi risponde a bassa voce: “Preferirei che mi ascoltassi quando ti parlo”. Questo scambio apparentemente banale illumina una delle tensioni fondamentali della nostra epoca: la confusione tra l’amare e il possedere, tra l’essere e l’avere. In una società dove ogni esperienza viene progressivamente trasformata in merce, saper amare non è da tutti proprio perché richiede la capacità di resistere alla logica del consumo, di riconoscere che l’amore autentico non può essere acquistato né venduto, ma deve essere coltivato con pazienza e dedizione.

    Fromm, con lucida preveggenza, analizzava già negli anni ’50 come la mentalità consumistica stesse infiltrando gradualmente la sfera delle relazioni affettive. Oggi questa tendenza ha raggiunto proporzioni senza precedenti. Nelle sedute terapeutiche, si osserva come molte persone descrivano inconsapevolmente le proprie relazioni utilizzando il linguaggio del mercato: si “investe” in una relazione aspettandosi un “ritorno”, si “valuta” se un partner “valga la pena”, si “scarta” una relazione quando non soddisfa più le aspettative. Questa mercificazione degli affetti trasforma sottilmente l’altro da soggetto a oggetto, da fine a mezzo. Saper amare non è da tutti perché implica la capacità di sottrarsi a questa logica pervasiva che riduce anche i legami più intimi a transazioni di valore.

    L’amore autentico rappresenta una forma di resistenza a questa logica di mercato. Non si basa sullo scambio di vantaggi o sulla soddisfazione immediata dei desideri, ma sulla capacità di vedere nell’altro un valore intrinseco che trascende la sua utilità o piacevolezza momentanea. Questo sguardo, che riconosce la dignità inalienabile dell’altro, costituisce la base di ogni relazione genuina in un’epoca che tende a ridurre ogni cosa al suo valore di scambio. Amare significato trova proprio in questa capacità di vedere oltre l’utilità immediata, di creare relazioni che non siano subordinate alla logica del profitto e dell’efficienza, ma che esistano come fini in sé, come spazi di autenticità in un mondo dominato dall’artificiale.

    La crisi dell’amore nelle società moderne

    Nella sala d’attesa di un consultorio familiare, una giovane coppia consulta nervosamente i rispettivi smartphone, scambiando occasionalmente uno sguardo rapido. Lei scorre le immagini di altre coppie che sorridono sui social media, lui controlla le notifiche di un’app di incontri che non ha ancora cancellato. Questo quadro quotidiano riflette le contraddizioni dell’amore nell’epoca digitale: mai come oggi siamo tecnicamente “connessi”, eppure l’esperienza dell’alienazione e della solitudine sembra intensificarsi. Si nota, nell’osservazione clinica, come molte persone vivano una scissione tra l’immagine idealizzata dell’amore promossa dai media e la realtà più complessa e talvolta deludente delle relazioni concrete. Saper amare non è da tutti proprio perché richiede la capacità di vedere oltre questi simulacri, di distinguere tra l’amore-immagine e l’amore-esperienza.

    La crisi dell’amore nelle società moderne si manifesta in vari sintomi: la crescente difficoltà a stabilire relazioni durature, la rapida successione di legami che si formano e si dissolvono senza lasciare tracce profonde, la sensazione diffusa di insoddisfazione anche in relazioni apparentemente stabili. Un uomo di trent’anni in terapia descrive questo stato d’animo: “Ho tutto ciò che dovrebbe rendermi felice – un partner attraente, una bella casa, vacanze fotografabili – eppure c’è un vuoto che non riesco a colmare”.

    Questo vuoto rappresenta spesso il sintomo di un amare ridotto a consumo, privato della sua dimensione trasformativa. Amare una persona nella sua complessità, con le sue luci e le sue ombre, richiede una qualità di presenza e impegno che la cultura dell’immediato tende a scoraggiare.

    La velocità che caratterizza la nostra epoca si riflette anche nel modo in cui viviamo le relazioni. Durante i colloqui terapeutici, emerge frequentemente l’impazienza di fronte alle inevitabili difficoltà relazionali. Una donna confessa: “Se dopo tre mesi non è perfetto, passo al prossimo. Non ho tempo da perdere”. Questa ricerca dell’efficienza, applicata all’ambito degli affetti, contraddice la natura stessa dell’amore, che richiede tempo per svilupparsi, per mettere radici, per attraversare crisi e rinascite.

    Saper amare non è da tutti perché implica una disponibilità alla lentezza, alla pazienza, all’accettazione dei ritmi naturali della conoscenza reciproca, in un’epoca che valorizza invece la rapidità e l’immediatezza. Ma se l’amore può generare sofferenza individuale quando mercificato, può anche diventare il seme di un cambiamento collettivo quando vissuto come cura.

    Un altro aspetto della crisi contemporanea dell’amore è la sua progressiva frammentazione. Si osserva come molti cerchino di separare le diverse dimensioni dell’amore – fisica, emotiva, intellettuale – come se fossero componenti indipendenti. Un uomo racconta di avere una relazione stabile “per la sicurezza”, mentre cerca altrove la passione; una donna descrive come mantenga separata la sua vita intellettuale dalla relazione romantica “perché tanto non capirebbe”. Questa compartimentalizzazione, benché possa sembrare una soluzione pragmatica, finisce per impoverire l’esperienza amorosa, privandola della sua potenzialità integrativa. Amare profondamente significa riuscire a integrare queste diverse dimensioni in un’esperienza unitaria che nutre la persona nella sua interezza.

    Nonostante questi segnali di crisi, si osserva anche una crescente consapevolezza dei limiti del modello consumistico applicato all’amore. Molte persone, dopo ripetute delusioni, iniziano a interrogarsi più profondamente sul significato dell’amare e sulla qualità delle connessioni che desiderano stabilire. Come confida una paziente dopo anni di relazioni superficiali: “Sto iniziando a capire che ciò che cerco non può essere trovato nell’ennesimo profilo o nel prossimo appuntamento”. Questo risveglio rappresenta un segnale importante: la possibilità che, proprio dal cuore della crisi, emerga una nuova consapevolezza di cosa significhi veramente amare e essere amati.

    L’amore come fondamento di una società sana

    In un quartiere periferico, un gruppo di famiglie ha trasformato un terreno abbandonato in un orto comunitario. Durante i fine settimana, persone di diverse generazioni ed estrazioni sociali si ritrovano per coltivare non solo verdure, ma anche relazioni. Si osserva, in questi spazi di convivialità, come l’amore trascenda la dimensione personale per diventare principio organizzativo di una comunità.

    I bambini imparano a prendersi cura delle piante osservando gli adulti che se ne prendono cura, in un circolo virtuoso di trasmissione dei valori. Questa scena apparentemente semplice illustra come amare significato più ampio trovi nella sua dimensione sociale e politica. Saper amare non è da tutti anche perché implica la capacità di estendere la cura oltre il cerchio ristretto delle relazioni immediate per abbracciare una visione più inclusiva del bene comune.

    Fromm considerava l’amore non solo come questione privata, ma come potenziale fondamento di una società più umana e solidale. In un’epoca dominata dall’individualismo competitivo e dalla frammentazione sociale, questa visione appare particolarmente profetica. Durante i gruppi terapeutici, emerge come molte sofferenze individuali siano intimamente connesse al contesto sociale più ampio: la solitudine, l’ansia cronica, la depressione riflettono spesso non solo difficoltà personali, ma anche la qualità delle relazioni sociali in cui le persone sono immerse. Amare profondamente include la consapevolezza di questa dimensione collettiva della sofferenza e del benessere, e la disponibilità ad agire non solo per il proprio bene ma per quello della comunità.

    Una società fondata sul principio dell’amore non è un’utopia sentimentale, ma una possibilità concreta che si manifesta in germe ovunque le persone scelgano di privilegiare la cooperazione sulla competizione, la connessione sull’isolamento, la cura reciproca sull’indifferenza. Si nota come le comunità che hanno sviluppato solidi legami di solidarietà mostrino maggiore resilienza di fronte alle difficoltà, sia materiali che psicologiche.

    Un anziano racconta come, durante un periodo di malattia, sia stato sostenuto dai vicini, persone con cui aveva costruito negli anni relazioni di cura reciproca: “Non eravamo amici intimi, ma c’era questo tacito accordo che ci si prende cura gli uni degli altri”. Saper amare non è da tutti perché implica questa disponibilità a trascendere i confini dell’individualismo per riconoscere la nostra fondamentale interdipendenza.

    Cosa significa amare in senso sociale? Non si tratta necessariamente di un sentimento intenso verso estranei, ma piuttosto di un’attitudine di apertura e rispetto che riconosce nell’altro un essere umano degno di considerazione. Questa disposizione si manifesta in piccoli gesti quotidiani – cedere il posto su un mezzo pubblico, ascoltare con attenzione un collega in difficoltà, impegnarsi in cause che vanno oltre l’interesse personale – che, moltiplicati, creano il tessuto di una comunità più coesa. L’amare in questo senso più ampio si esprime nella capacità di vedere oltre la superficie delle differenze – culturali, sociali, politiche – per riconoscere la comune umanità che ci unisce.

    Particolarmente interessante è l’osservazione di come le persone che hanno sviluppato la capacità di amare nelle relazioni personali tendano a estendere naturalmente questa disposizione alla dimensione sociale. Una donna, dopo un percorso di crescita personale, racconta: “Prima mi interessavo solo delle persone che conoscevo direttamente. Ora sento una responsabilità più ampia, un legame con persone che non incontrerò mai”. Questa espansione della cura oltre i confini dell’immediato rappresenta la base di ogni cambiamento sociale positivo. Saper amare non è da tutti anche perché implica questa crescita graduale del cerchio dell’empatia, questa disponibilità a considerare anche lo sconosciuto come parte della propria comunità di riferimento.

    In questo scenario frammentato, scegliere di amare diventa un atto di coraggio, una forma di resistenza silenziosa che si manifesta nei gesti quotidiani.

    L’arte di amare nella vita quotidiana: pratiche e coraggio

    In una cucina familiare, al termine di una discussione accesa, un uomo si avvicina silenziosamente alla partner per offrirle una tazza di tè, preparata esattamente come lei preferisce. Non ci sono parole di scusa o richieste esplicite di riconciliazione, solo questo gesto semplice che dice: “Nonostante il conflitto, sono ancora qui”. Si osserva in questa scena domestica come l’amore si manifesti non nei grandi gesti eclatanti, ma nella trama sottile delle piccole azioni quotidiane. Saper amare non è da tutti perché richiede la capacità di trasformare i principi astratti in pratiche concrete, ripetute con pazienza e consapevolezza giorno dopo giorno, anche e soprattutto nei momenti di difficoltà.

    L’arte di amare si esprime proprio in questa dimensione quotidiana, nell’attenzione costante ai dettagli apparentemente insignificanti che compongono una relazione. Durante i percorsi terapeutici di coppia, emerge spesso come non siano i grandi tradimenti o i conflitti drammatici a erodere un legame, ma piuttosto la graduale disattenzione, la progressiva invisibilità dell’altro, l’accumularsi di piccole negligenze mai riconosciute né riparate. Al contrario, le relazioni che prosperano nel tempo si caratterizzano per una qualità di presenza che si rinnova costantemente attraverso gesti minimi ma significativi. Saper amare non è da tutti perché implica questa delicata capacità di attenzione ai dettagli, questa disponibilità a “vedere” veramente l’altro anche dopo anni di familiarità.

    Questa pratica quotidiana dell’amore richiede coraggio, la disponibilità a mostrarsi vulnerabili e a rischiare il rifiuto o l’incomprensione. In un mondo che privilegia la sicurezza e il controllo, che teme l’incertezza e la dipendenza, scegliere di amare rappresenta un atto di resistenza, una rivendicazione della nostra natura profondamente relazionale. Imparare ad amare significa accettare questa vulnerabilità non come debolezza, ma come condizione necessaria per una vita piena e significativa.

    Amare una persona implica il coraggio di aprirsi senza garanzie, di offrire la propria verità senza certezza di accoglienza, di rimanere presenti anche quando sarebbe più facile ritirarsi. Saper amare non è da tutti perché richiede questa forma particolare di coraggio che non si misura in gesti eroici ma nella costanza silenziosa della presenza. In questa quotidianità fatta di piccoli gesti, si nasconde la più grande sfida: restare aperti, anche quando è più facile chiudersi.

    Vulnerabilità e rischio: il coraggio di amare autenticamente

    In una sala d’attesa ospedaliera, un uomo anziano tiene la mano della moglie malata, accarezzandola con delicatezza. Nel suo sguardo si legge una complessità di emozioni: tenerezza, preoccupazione, ma anche una serena accettazione della fragilità condivisa. Questa scena, nella sua semplicità, illustra il paradosso centrale dell’amore autentico: proprio nell’accettare la nostra vulnerabilità e quella dell’altro troviamo una forza più profonda di qualsiasi corazza difensiva. Amare una persona significa essere disposti a soffrire con lei e per lei, ad attraversare insieme il territorio incerto dell’esistenza. Saper amare non è da tutti proprio perché richiede il coraggio di abbandonare le difese che ci proteggono ma che, al contempo, ci isolano.

    Nel contesto clinico, si nota come molte difficoltà relazionali nascano proprio dalla paura di questa vulnerabilità. Una donna racconta di mantenere sempre una “via di fuga” nelle relazioni, evitando di impegnarsi completamente: “Ho paura di perdermi nell’altro, di diventare dipendente”. Un uomo confessa di utilizzare l’ironia come scudo quando la conversazione si avvicina a temi emotivamente significativi. Questi meccanismi difensivi, comprensibili e comuni, proteggono momentaneamente dal dolore ma impediscono anche l’esperienza di un amore profondo. Amare significa accettare il rischio intrinseco dell’apertura emotiva, la possibilità di essere feriti o delusi.

    Il coraggio di amare si manifesta nella disponibilità a rimanere presenti e aperti anche quando l’altro ci delude, ci ferisce o semplicemente non corrisponde alle nostre aspettative. Durante una seduta particolarmente intensa, una coppia descrive il momento di crisi attraversato dopo un tradimento: “Ho dovuto decidere se chiudere tutto o rischiare ancora, sapendo che potrebbe succedere di nuovo”. Questa decisione di rimanere vulnerabili, di continuare a investire emotivamente in una relazione senza garanzie, rappresenta un profondo atto di coraggio. Saper amare non è da tutti perché implica la capacità di restare aperti anche dopo essere stati feriti, di scegliere nuovamente la via della fiducia pur conoscendone i rischi.

    Amare profondamente implica anche il coraggio di affrontare le proprie ombre, quelle parti di sé che preferiremmo ignorare o nascondere. L’intimità autentica, infatti, tende a portare alla luce aspetti di noi stessi che possiamo trovare scomodi o imbarazzanti: gelosie irrazionali, insicurezze profonde, bisogni che temiamo siano eccessivi. Una donna descrive questo processo: “Pensavo di essere una persona calma e razionale, poi mi sono innamorata e ho scoperto un vulcano di emozioni che non sapevo di avere”. Accogliere queste parti di sé, piuttosto che reprimerle o proiettarle sull’altro, richiede un coraggio particolare. Amare significa accettare di scoprirsi e rivelarsi, di riconoscere la propria complessità emotiva senza giudicarla.

    Nelle relazioni che attraversano con successo le inevitabili crisi e trasformazioni, si osserva questa capacità di rimanere vulnerabili senza diventare vittime, di rischiare senza incoscienza, di aprirsi senza dissolversi. Come confida un uomo dopo anni di terapia: “Ho capito che la vera forza non sta nel non aver bisogno di nessuno, ma nell’ammettere quanto profondamente abbiamo bisogno gli uni degli altri”. Questa consapevolezza rappresenta un’autentica liberazione in una cultura che spesso scambia l’indipendenza emotiva per forza. Saper amare non è da tutti perché richiede questo coraggio paradossale: la forza di riconoscere e accogliere la propria intrinseca vulnerabilità.

    Suggerimenti pratici per coltivare l’amore come crescita personale

    Nel salotto di una casa qualunque, una coppia ha stabilito un rituale: ogni sera, prima di coricarsi, si siedono l’uno di fronte all’altra per condividere un momento della giornata in cui si sono sentiti particolarmente connessi o, al contrario, distanti. Questo semplice esercizio, praticato con costanza, crea uno spazio regolare di comunicazione autentica che nutre il legame. Si osserva, nelle coppie che mantengono relazioni vitali nel tempo, come abbiano sviluppato pratiche concrete, spesso minime ma significative, che permettono di coltivare quotidianamente la connessione. Saper amare non è da tutti perché implica questa intenzionalità, questa disposizione a trasformare l’amore da stato emotivo a pratica quotidiana deliberata.

    L’arte di amare può essere appresa attraverso esercizi specifici che, come nel caso di qualsiasi altra disciplina, richiedono pratica costante e intenzione consapevole. Durante i percorsi terapeutici, emergono alcune pratiche particolarmente efficaci. L’ascolto attivo, ad esempio, rappresenta una delle competenze fondamentali: la capacità di prestare piena attenzione all’altro, sospendendo temporaneamente il giudizio e la tendenza a preparare la propria risposta mentre l’altro sta ancora parlando. Una donna descrive la trasformazione nella sua relazione dopo aver appreso questa pratica: “Prima parlavamo entrambi, ma raramente ci ascoltavamo davvero”. Amare significa innanzitutto ascoltare con tutto il proprio essere, non solo con le orecchie ma con il cuore aperto.

    La gratitudine consapevole costituisce un altro potente strumento per nutrire l’amore. Si nota come le coppie che mantengono l’abitudine di esprimere apprezzamento specifico per le azioni dell’altro tendano a sviluppare una visione più positiva della relazione. Non si tratta di complimenti generici, ma di riconoscimenti precisi che dimostrano attenzione e valorizzazione.

    Un uomo racconta di aver iniziato a tenere un “diario della gratitudine” in cui annota quotidianamente qualcosa del partner per cui si sente grato: “All’inizio sembrava artificiale, poi è diventato un modo per allenare lo sguardo a vedere il positivo”. Amare significato trova anche in questa capacità di notare e apprezzare i gesti dell’altro, di resistere alla tendenza a dare per scontato ciò che di prezioso accade nella relazione.

    Amare significa anche imparare l’arte della riparazione dopo i conflitti o le disconnessioni inevitabili. Nelle relazioni sane, si osserva come i partner abbiano sviluppato modalità efficaci per ristabilire la connessione dopo un momento di tensione: un gesto di riconciliazione, una parola gentile, talvolta semplicemente la disponibilità a ritornare sul tema in un momento più sereno. Come spiega una terapeuta di coppia: “Non è l’assenza di conflitti che distingue le relazioni sane, ma la capacità di ripararli”. Saper amare non è da tutti perché implica questa capacità di rimanere presenti anche nei momenti di attrito, di trovare strade per riconnettersi anziché allontanarsi ulteriormente quando emergono le difficoltà.

    La pratica della presenza consapevole rappresenta forse il fondamento di ogni altra tecnica. Si tratta della capacità di essere pienamente presenti nei momenti di connessione, liberi dalle distrazioni esterne e interne che frammentano l’attenzione. Nel contesto contemporaneo, caratterizzato da sollecitazioni costanti e multitasking cronico, questa semplice pratica – dedicare all’altro momenti di attenzione non divisa – costituisce un potente antidoto alla superficialità.

    Come osserva un paziente: “Ho capito che posso passare ore fisicamente con mia moglie, ma se sono mentalmente altrove, è come se fossi assente”. Amare profondamente include questa capacità di offrire all’altro la propria presenza piena, quel dono raro e prezioso di un’attenzione non frammentata, libera dalle distrazioni continue che caratterizzano la vita contemporanea. Coltivare l’amore, allora, diventa un modo per coltivare anche noi stessi, giorno dopo giorno.

    E così, giorno dopo giorno, imparare ad amare diventa un atto di resistenza in un mondo che raramente si ferma ad ascoltare.

    Il coraggio di amare tra le crepe di un mondo che non ascolta

    In un parco cittadino, due anziani siedono su una panchina tenendosi per mano, mentre intorno a loro la vita frenetica della città continua indisturbata. Non parlano, non fanno nulla di particolare, eppure in quella presenza condivisa si manifesta un’intensità di connessione che contrasta silenziosamente con l’individualismo circostante. In questo semplice quadro si coglie l’essenza del paradosso contemporaneo: in un’epoca ossessionata dalla comunicazione, l’arte di stabilire autentiche connessioni umane sembra progressivamente affievolirsi. Saper amare non è da tutti proprio perché richiede una forma di resistenza quotidiana a questa frammentazione, una volontà di creare spazi di autenticità nelle crepe di un sistema che favorisce la distrazione e la superficialità.

    Il viaggio attraverso il pensiero di Fromm ci ha mostrato come l’amore rappresenti non un sentimento passivo o un’emozione transitoria, ma una capacità attiva che richiede conoscenza, impegno e coraggio. Abbiamo esplorato le diverse forme che l’amore può assumere, dal romantico al fraterno, dal materno allo spirituale.

    Abbiamo osservato la delicata danza tra Eros e Logos, tra il desiderio che nasce dal corpo e la comprensione che deriva dalla mente. Abbiamo riconosciuto nel narcisismo e nell’egocentrismo ostacoli significativi alla capacità di amare autenticamente. Abbiamo analizzato la crisi dell’amore nelle società consumistiche contemporanee e la possibilità di trasformare pratiche quotidiane in espressioni di un amore consapevole.
    In questo spazio fragile ma reale, l’amore ritrova il suo significato originario: non possedere, ma esserci.

    Ciò che emerge da questa esplorazione è la comprensione che amare rappresenta, in ultima analisi, un atto di fede: non nel senso religioso tradizionale, ma come fiducia nelle potenzialità trasformative della connessione umana. In un mondo che privilegia il calcolo e la certezza, che misura il valore in termini di utilità e produttività, scegliere di amare significa affermare che esiste una dimensione dell’esperienza umana che trascende questi parametri. L’amore autentico non promette felicità costante o assenza di sofferenza; offre piuttosto la possibilità di una vita più ricca di significato, in cui le inevitabili difficoltà possono essere attraversate insieme, con maggiore resilienza e profondità.

    Nelle sale di terapia, si incontrano tanto le ferite prodotte da amori distorti o traditi quanto le trasformazioni straordinarie rese possibili da relazioni nutrienti. Una donna, dopo anni di lavoro su se stessa, descrive il cambiamento nella sua capacità di amare: “Prima cercavo nell’altro qualcuno che mi completasse, ora mi avvicino da una posizione di maggiore interezza. Paradossalmente, questo mi permette di essere più vulnerabile.” Un uomo, riflettendo sul percorso fatto con la partner, osserva: “Abbiamo attraversato crisi che avrebbero potuto distruggerci, invece ci hanno permesso di conoscerci a un livello che non avremmo immaginato.”

    Nel coro di voci che emergono dall’esperienza clinica, un tema ricorrente è la scoperta che l’amore non è uno stato da raggiungere, ma un cammino continuo, un’arte che si affina attraverso tentativi, errori e ricominciamenti. Come ogni arte, richiede pratica costante, attenzione ai dettagli, disponibilità a imparare dagli insuccessi. E come ogni vera arte, non offre formule o ricette garantite, ma invita piuttosto a un’esplorazione personale che diventa tanto più ricca quanto più si approfondisce.

    BOX CLINICO: “L’amore come ultimo gesto di resistenza”

    Nella stanza di ospedale, D. siede accanto al letto della moglie malata terminale. Ogni giorno, da settimane, le legge poesie, le racconta storie del loro passato comune, le parla come se potesse ancora rispondere, nonostante lei sia ormai a malapena cosciente. Il personale ospedaliero osserva con rispettoso stupore questa dedizione quotidiana che non si lascia scoraggiare dall’assenza di risposte.

    Durante un colloquio di sostegno, D. confida: “Molti pensano che sia inutile, che lei non mi senta più. Ma io non lo faccio perché è utile, lo faccio perché è vero.” Questa semplice affermazione contiene una profonda saggezza: l’amore autentico non è guidato primariamente dal risultato o dalla reciprocità, ma da una fedeltà più profonda alla verità della connessione.

    Nei giorni che precedono la morte della moglie, D. continua la sua pratica quotidiana di presenza amorevole. “In un mondo che misura tutto in termini di efficienza”, riflette, “prendersi cura di qualcuno che sta morendo sembra una perdita di tempo. Ma forse è proprio questo il punto: l’amore esiste in uno spazio diverso da quello dell’utilità.”

    Questo caso illustra come, nelle circostanze più estreme, l’amore possa manifestarsi come una forma di resistenza alle logiche dominanti di produttività e scambio. Prendersi cura dell’altro anche quando “non serve a nulla” rappresenta forse l’espressione più pura di ciò che significa amare.

    In un’epoca che valorizza l’indipendenza sopra ogni cosa, scegliere di amare – con tutto il rischio e la vulnerabilità che questo comporta – rappresenta un atto di sottile sovversione. Non si tratta di una ribellione rumorosa, ma di una tranquilla insistenza sul fatto che la connessione umana significativa rimane essenziale per una vita piena, nonostante i messaggi culturali che suggeriscono il contrario. In questo senso, come Fromm intuiva con straordinaria preveggenza, saper amare non è da tutti: è anche una scelta politica, un gesto di affermazione della nostra natura profondamente relazionale in un sistema che tende a isolarci e a trasformarci in consumatori più che in esseri umani capaci di connessione.

    L’invito di Fromm a considerare l’amore come un’arte da apprendere e praticare con dedizione rimane straordinariamente attuale. In un mondo che cerca risposte rapide e soluzioni tecnologiche a ogni problema, la sua visione ci ricorda che nessuna app o algoritmo potrà mai sostituire il lento, imperfetto, meraviglioso lavoro di imparare ad amare e a lasciarsi amare nella pienezza della nostra umanità.
    In un mondo che corre, scegliere di amare lentamente diventa un

    Cosa significa davvero “saper amare non è da tutti”?

    La frase “saper amare non è da tutti” indica che amare autenticamente non è un’abilità spontanea, ma una capacità da sviluppare. Amare richiede consapevolezza, presenza emotiva e volontà di crescere nella relazione. Secondo Erich Fromm, non basta provare affetto: l’amore è un’arte che si apprende con pratica, empatia e impegno quotidiano.

    Qual è la differenza tra amare una persona e dipendere da lei?

    Amare una persona significa riconoscerla nella sua unicità e rispettarne l’autonomia. Dipendere emotivamente, invece, implica bisogno e insicurezza. Saper amare non è da tutti perché comporta la capacità di stare con l’altro senza annullarsi, mantenendo equilibrio tra vicinanza e libertà. L’amore sano nasce da un’identità integra, non da un vuoto da colmare.

    Perché oggi è così difficile imparare ad amare?

    In un contesto dominato dal consumo, dalla velocità e dall’individualismo, le relazioni rischiano di diventare superficiali o strumentali. Saper amare non è da tutti proprio perché richiede lentezza, dedizione e capacità di andare oltre il proprio ego. L’amore autentico contrasta la logica dell’usa-e-getta e si costruisce nel tempo con gesti concreti.

    L’amore vero deve essere sempre facile e spontaneo?

    No. L’idea che l’amore debba essere sempre semplice è un mito romantico. In realtà, l’amore vero include momenti di crisi, incomprensioni e trasformazioni. Saper amare non è da tutti perché significa scegliere ogni giorno l’altro, accettando anche le difficoltà. Amare è un atto attivo, non solo una sensazione piacevole e istintiva.

    Come riconoscere una relazione tossica da un amore autentico?

    Una relazione tossica si basa sul controllo, sulla dipendenza o sulla svalutazione. Un amore autentico si fonda invece su rispetto reciproco, ascolto e cura. Saper amare non è da tutti perché richiede anche il coraggio di dire no a ciò che ferisce. Il vero amore non soffoca, ma fa fiorire entrambe le persone nella loro autenticità.

    È possibile amare se non si ha una buona autostima?

    L’amore autentico nasce da una relazione sana con se stessi. Senza autostima, si rischia di cercare nell’altro conferme costanti, trasformando l’amore in dipendenza. Saper amare non è da tutti anche perché comporta un lavoro interiore di accettazione e valorizzazione di sé. Solo chi si ama davvero può amare profondamente un altro.

    Massimo Franco
    Massimo Franco
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