Kintsugi significato, arte e metafora della psicoterapia

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    Solo quando ci rompiamo
    scopriamo di che cosa siamo fatti”

    Ziad K. Abdelnour

    Kintsugi significato

    Partiamo dal’’etimologia della parola giapponese, composta da: 

    • Wabi, che significa la meraviglia di fronte alla natura, povertà, semplicità e
    • Sabi, che indica l’accettazione della transitorietà delle cose, la bellezza nata dal passare del tempo. 

    Wabi Sabi : ci invita  ad apprezzare la bellezza delle cose semplici, transitorie e imperfette, rese uniche dal segno lasciato dal tempo

    Wabi Sabi è il principio giapponese secondo il quale la bellezza sta nell’imperfezione. E’ una concezione estetica fondata sull’accettazione dell’imperfezione e dell’impermanenza delle cose.

    Tratto dagli insegnamenti buddisti, questo principio si basa dunque sulla ricerca del bello nelle imperfezioni e nell’incompletezza.

    Secondo la corrente di pensiero buddista, questo modo di vivere può guidarci verso un’esistenza più semplice e più appagante.

    Kintsugi significato: “riparare con l’oro”.

    Si tratta di una filosofia e antica pratica giapponese che consiste nel riparare oggetti in ceramica attraverso l’uso dell’oro per saldare nuovamente tra loro i vari frammenti.

    Questa tradizione orientale si discosta molto dalla nostra filosofia inerente alla rottura degli oggetti, per cui risulta molto interessante e stimolante analizzarla più da vicino. 

    Vediamo insieme in cosa consiste e perché può essere considerata come vera e propria metafora della psicoterapia

    Kintsukuroi

    Recensioni Dr. Massimo Franco Psicologo e Psicoterapeuta Ancona

    Il Kintsukuroi è l’arte giapponese di riparare ciò che si è rotto.

    Quando qualcosa si rompe, ad esempio un vaso, i maestri artigiani del kintsukuroi ne raccolgono i frammenti e li saldano, riempiendo le crepe con l’oro. Le fratture non vengono nascoste ma, al contrario, vengono messe in risalto, perchè si pensa che un vaso riparato riesca a mostrare tanto la fragilità quanto la forza di resistere.

    La nascita del kintsukuroi o kintsugi

    Kintsugi è composta dalla parola kin che significa oro e dalla parola tsugi, letteralmente riparare, riunire. Quindi Kintsugi è riparare con l’oro e Kintsukuroi-Kintsugi è la tecnica con la quale i maestri giapponesi riparano ciò che si è rotto.

    La tecnica del kintsukuroi o kintsugi, potrebbe essere fatta risalire ad Ashikaga Yoshimasa, ottavo shogun dello shogunato , che narra la leggenda che Ashikaga, ruppe la propria tazza di tè preferita la inviò in Cina per farla riparare.

    Le riparazioni avvenivano con legature metalliche poco estetiche e poco funzionali. Il suo proprietario decise, così, di ritentare la riparazione affidandola ad alcuni artigiani giapponesi, i quali decisero di provare a trasformarla in gioiello riempiendo le crepe con resina laccata e polvere d’oro.

    La leggenda è plausibile perché situa la nascita del kintsugi in un periodo molto fecondo, per l’arte, in Giappone.

    Kintsukuroi. L’arte giapponese di curare le ferite dell’anima

    Tomas Navarro ha pubblicato un volume dal titolo “Kintsukuroi. L’arte giapponese di curare le ferite dell’anima” (2018). Attraverso le pagine della sua opera, Navarro insegna come questa arte possa applicarsi anche alla vita, fornendo tutta una serie di strumenti per diventare maestri nella cura delle ferite.

    Nella prima parte del suo libro, Navarro ha voluto esporre un metodo studiato per guarire proprio le ferite emozionali.

    Il punto di partenza è stato quello di comprendere il ruolo che le difficoltà hanno nella vita delle persone, come si reagisce davanti ad esse e quali conseguenze hanno sull’esistenza.

    Nella seconda parte del testo, lo psicologo spagnolo, ha voluto spiegare in cosa consiste praticamente l’arte di ricomporre la propria vita.

    Navarro ha inteso utilizzare un metodo semplice nato dalle influenze più rigorose della psicologia e dall’esperienza acquisita da lui stesso con persone che sono riuscite a risanare le loro ferite emozionali e impreziosire le proprie cicatrici.

    Queste le parole che ha usato l’autore del testo nelle pagine introduttive del volume.

    Kintsugi metafora

    Cadi sette volte, rialzati otto
    Nana korobi ya oki
    Non importa, dunque, quante volte affrontiamo il fallimento, l’importante è tirarci su e andare avanti. 

    l kintsugi (金継ぎ), letteralmente ‘riparare con l’oro’, è un’antica pratica giapponese che consiste nell’utilizzo di oro (liquido, lacca o polvere) per la riparazione di oggetti in ceramica (in genere vasellame), usando il prezioso metallo per saldare insieme i frammenti. Ogni ceramica riparata presenta un diverso intreccio di linee dorate, unico ed irripetibile per via della casualità con cui la ceramica può frantumarsi.

    La pratica nasce dall’idea che dall’imperfezione e da una ferita possa sorgere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore.

    Il kintsugi si rifà alla dottrina buddista della transitorietà ed impermanenza di tutte le cose. La riparazione conferisce quindi all’oggetto la possibilità di evocare dentro di noi una sensazione di serena malinconia e un ardore spirituale.

    Il kintsugi è una tecnica di riparazione molto particolare perché, anziché nascondere le linee di frattura dell’oggetto con un incollaggio perfetto e coprente, rimarca le stesse linee in modo da sottolineare il motivo frastagliato della lesione, trasformando così l’oggetto in una nuova opera, che non snatura la forma precedente, ma regala all’oggetto cicatrici luminose.

    La vita è integrità in divenire, non può escludere le diverse “ferite”, e “lacerazioni”, ma ogni essere umano deve “integrarle” lungo il suo cammino. Per tali ragioni la “forma dell’”essere” umano è forma in divenire, che deve cambiare. Il cambiamento è accettazione, riparazione, crescita ed arricchimento.

    Il vaso rotto  ha una storia, il solco lasciato dalla frattura viene valorizzato e l’oggetto conserva i segni dell’evento dentro di sé

    Il kintsugi indica quindi che ogni storia, anche la più travagliata, è fonte di bellezza e che ogni cicatrice è la cosa più preziosa che abbiamo.

    La riparazione è alla base della creatività, ogni attività creativa è quindi riparativa, volta cioè a ristabilire un’armonia, ripristinare un’integrità.

    Il kintsugi  può anche essere utilizzato come la metafora di una psicoterapia che concepisce la personalità come qualcosa in movimento e lungo il suo cammino, incontra inevitabilmente la “caduta-rottura. La vera forza di ogni essere umano è nel rialzarsi e non nell’evitare di “cadere”.

    Nana korobi ya oki Cadi sette volte, rialzati otto”, così recita un proverbio giapponese.

    Non importa, dunque, quante volte affrontiamo il fallimento, l’importante è tirarci su e andare avanti. 

     L’energia di un urto della vita, come nel kintsugi, viene quindi trasformata attraverso un movimento interno riparativo delle parti di sé danneggiate o scisse e delle esperienze di danneggiamento, al fine di renderle comunicabili nell’incontro con l’altro.

    Arte Kintsugi e filosofia Occidentale 

    Sotto vari aspetti, la cultura orientale differisce molto da quella occidentale. Innanzitutto in Occidente vi è ormai una tendenza consolidata a buttare via gli oggetti nel momento in cui si rompono. In alternativa si cerca di ripararli facendo in modo di non lasciare tracce visibili del danno. 

    Per gli occidentali le cicatrici, le difficoltà, gli ostacoli e la rottura, hanno spesso un significato negativo. Sono tutti concetti legati al fallimento, al senso di colpa, alla vergogna e al dolore. In Occidente vi è una forte difficoltà nel riconoscere come i momenti di crisi e di dolore in realtà possono offrire nuove opportunità di cambiamento e rappresentare nuove risorse.

    Non è un caso che per riparare un oggetto rotto si usi la colla per nascondere le linee di rottura.

    Noi occidentali siamo convinti che quando qualcosa si rompe questa non potrà più essere come prima. Insomma, “se il vaso è rotto, è rotto!”. Ecco che i giapponesi ci offrono un punto di vista diverso, in cui ogni storia, anche se dolorosa, è fonte di bellezza, dove ogni cicatrice è mostrata con orgoglio.

    Ecco che secondo la tecnica del Kintsugi, da una ferita o una crepa è possibile ridare vita a quel qualcosa che è stato danneggiato. In questo modo si crea una nuova forma, ed è proprio da questa che nasce una storia ancora più preziosa, e non solo esteticamente, ma soprattutto interiormente. 

    Ogni oggetto riparato con l’arte del Kintsugi diventa unico grazie alla casualità attraverso cui la ceramica può rompersi e per le decorazioni irregolari che si creano con il metallo.

    Prima le crepe erano punti fragili da nascondere. Ora sono valorizzate utilizzando l’oro.

    L’arte Kintsugi e la valorizzazione delle fratture 

    Non bisogna però credere che il Kintsugi sia soltanto una semplice tecnica di restauro. Quest’arte ha infatti un forte valore simbolico. Rappresenta la metafora delle crisi, delle fratture e di tutti quei cambiamenti che una persona può trovarsi ad affrontare durante la propria vita.

    Il tutto parte da una semplice idea: 

    da una ferita e dall’imperfezione può nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore. 

    Questa pratica è così particolare proprio perché l’oggetto rotto non viene riparato con l’intento di nasconderne le crepe, ma queste vengono sottolineate e valorizzate attraverso l’oro. È proprio con la valorizzazione delle fratture che l’oggetto rotto ha ora una nuova storia da raccontare.

    Il Kintsugi permette quindi di recuperare e valorizzare un oggetto considerato ormai inutile in quanto rotto. Ecco che una persona può superare e guarire le proprie ferite interne allo stesso modo. Proprio come le crepe vengono valorizzate attraverso l’aggiunta dell’oro, la persona può mostrare orgogliosa le proprie cicatrici, poiché rappresentano il suo vissuto all’interno di un processo di rinascita.

    Kintsugi metafora della psicoterapia

    La pratica del Kintsugi può essere quindi considerata come una metafora del  processo psicoterapeutico. La terapia infatti può aiutare una persona che si sente a pezzi ad affrontare e superare le difficoltà che sta vivendo. 

    Nel percorso psicoterapeutico il professionista accompagna il proprio paziente nella costruzione di una nuova realtà, cercando di ricomporre le sue parti interne anche attraverso la valorizzazione delle sofferenze. L’obiettivo finale è quello di far emergere e rafforzare le sue risorse.

    In questo modo una persona è più consapevole delle proprie risorse e sarà in grado di vedere le proprie ferite da un’altra prospettiva, grazie alla loro trasformazione in punti di forza.

    E non è proprio quello che succede nell’arte del Kintsugi?

    Questa tecnica richiede infatti una grande pazienza. E questo vale anche quando si lavora su se stessi, dove la riparazione prende lentamente forma passo dopo passo.

    Elaborare una ferita è un processo lento, lungo e a volte scoraggiante. Un percorso che richiede pazienza e cura, ma ad un certo punto tutto comincia a diventare più chiaro, si iniziano a vedere progressi e si guardano le cose da un altro punto di vista.

    Ricorda sempre che la sofferenza e il dolore sono parte della vita di ognuno di noi. Imparare a riconoscere e a sentire queste emozioni ci insegna che siamo vivi. Con il passare dei giorni il dolore viene elaborato, per poi passare e lasciare solo un segno, che ci lascia cambiati e più forti di prima. 

    Kintsugi e processo di riparazione in psicoanalisi

    Ciò che è rotto è in attesa di essere “ri-parato”

    ‘Immagino un terapeuta attento e silenzioso ed in grado di tenere il paziente nel suo movimento riparativo anche attraverso l’uso del linguaggio verbale, ma soprattutto attraverso una sorta di concentrazione psicosomatica (…). Questo significa che se il terapeuta ascolta con la massima concentrazione quello che il paziente dice e mantiene questa concentrazione anche durante il silenzio, allora questo atteggiamento viene trasmesso al paziente che ne ricaverà un invito potente alla integrazione di parti di sé danneggiate o scisse’.

    (Crocetti, 2007)

    Il prof. Guido Crocetti sottolinea come sia necessario che il terapeuta adoperi una ‘mente emozionale’ con il proprio paziente, piccolo o adulto che sia, ma anche come siano fondamentali il raccoglimento e la ricreazione reciproca.

    Con il concetto di raccoglimento egli fa riferimento al bisogno del paziente di uno spazio e di un tempo sicuro in cui raccogliersi ‘per riuscire a riunire e lavorare le esperienze interiori danneggiate dal trauma per perdite, abbandoni, o rifiuti oppure per annullamento o defraudamento di parti di sé.

     È questo raccoglimento che permette agli stati non integrati di muoversi verso l’integrazione e quindi di poter essere espressi in parole’.

    La ricreazione reciproca viene invece definita come ‘un gioco ed un lavoro tra due soggettività che si occupano l’una dell’altra nella costruzione di uno spazio intermedio in cui ognuno è, nello stesso tempo, interno ed esterno all’altro’.

    Crocetti sottolinea come tutto questo sia possibile grazie alla mente emozionale, che si serve dell’Empatia e che si configura come ‘una mente che mette la consapevolezza logica e razionale degli eventi al servizio dell’intuizione Empatica

    È la mente della madre (…) è la mente del terapeuta’.

     Nei percorsi terapeutici si riscontrano spesso difficoltà, talora titaniche, nel far emergere o sostenere abbozzi di riparazione.

     Compito del terapeuta è provare a capire e stimolare il pensiero sui comportamenti distruttivi sia quando essi hanno a che fare con gli oggetti esterni che quando essi riguardano gli oggetti interni.

    In ogni caso è nostro dovere creare il clima atto alla riparazione, sostenere l’emergere della speranza legata ai processi riparativi e pertanto favorire lo sviluppo di un pensiero più realistico sull’oggetto.

    La riparazione, in psicoanalisi, è un meccanismo con cui il soggetto cerca di riparare gli effetti delle sue fantasie distruttive sull’oggetto d’amore. L’identificazione con l’oggetto leso spinge alla riparazione attraverso la trasformazione delle energie distruttive.

    Fare coesistere le parti buone con quelle cattive nella riparazione equivale a tollerare l’ambivalenza e a ristabilire una relazione positiva con l’oggetto intero, da non confondere con l’espiazione.

    Espiare significa infatti punirsi, e ci si punisce tanto più quanto più si crede valga l’oggetto d’amore danneggiato.

    L’espiazione è un auto-attacco, una rinuncia a se stessi, una riparazione disfunzionale, come accade per i rituali ossessivi, nei quali si osserva annullamento senza creatività.

    La vera riparazione richiede invece amore e rispetto per l’oggetto, che diventa così il simbolo di una transizione tra il proprio mondo interno e quello esterno.

    Il Kintsugi può rappresentare la metafora di un percorso psicoterapeutico: l’individuo che può sentirsi letteralmente “a pezzi” riesce ad acquisire gradualmente consapevolezza delle proprie ferite interne, inizia ad accettarle e se ne prende cura, sviluppando nuovi significati da attribuire agli eventi.

    La rielaborazione del proprio vissuto che avviene durante questo percorso può essere usata come punto di partenza per un nuovo ciclo.

    Analogamente al lavoro di cesello svolto dall’artigiano esperto di Kintsugi che ricostruisce un oggetto assemblando le parti rotte, evidenziando le incrinature e creando una nuova forma ancora più forte della precedente, l’individuo può compiere un lavoro su se stesso sviluppando la propria capacità di resilienza e trasformando le proprie ferite in punti di forza in un percorso di superamento.

    La presa di coscienza del dolore è il primo passo per prendersi cura delle proprie ferite perchè se ci si limita a mascherarle o a nasconderle potrebbero prima o poi riaprirsi. La scelta di guarire richiede tempo e impegno e il risultato, strato dopo strato, assume gradualmente forma.

    Scegliere di aggiustare un oggetto danneggiato non implica solo il riconoscimento del suo valore, ma significa anche sviluppare un atteggiamento di cura e di attenzione verso se stessi.

    Analogamente quando si decide di riprendere in mano la propria vita dopo che ci si è sentiti “spezzati” dal dolore, la propria autostima ne risulta accresciuta poiché si è consapevoli di aver superato delle prove, delle difficoltà, di aver raggiunto un obiettivo, di avercela fatta.

    Le ferite esibite diventano una sorta di “medaglia d’oro” con cui celebrare il proprio percorso fatto anche di fratture, di dolori e di cambiamenti che inevitabilmente fanno parte dell’esistenza di ognuno.

    L’arte del Kintsugi richiede grande pazienza: la riparazione, passo dopo passo, prende lentamente forma.

    Anche nella vita sono necessari numerosi passaggi per imparare la lezione, spesso risulta necessario ricominciare daccapo e avere il coraggio di variare gli schemi ricorrenti.

    Può risultare un processo lungo, lento e talvolta scoraggiante, ma attraverso le prove e i tentativi si va comunque avanti, anche quando si ha l’impressione di essere rimasti fermi al punto di partenza.

    Poi un giorno tutto assume una connotazione di maggiore chiarezza, si iniziano ad intravedere dei progressi, dei risultati, tutto alla fine diventa più chiaro e si inizia a concepire una rinnovata visione delle cose.

    In conclusione: il Kintsugi è una lezione di vita. Ci insegna ad abbracciare le nostre ferite anziché rimuoverle, a trasformarle in punti di forza “ricoprendole d’oro” poiché esse rappresentano una testimonianza del nostro passato e delle prove superate, in un percorso che ci narra di storie di rinascita, di resilienza e di esperienze che possono alimentare la Crescita personale.

    Solo quando ci rompiamo scopriamo di cosa siamo fatti

    Il Kintsugi è una vera e propria lezione di vita, che ci dà modo di accettare e accogliere le nostre ferite e i nostri dolori anziché rimuoverli, trasformandoli in punti di forza e ricoprendoli d’oro. Sono soltanto la testimonianza delle difficoltà superate, del proprio passato, della propria storia e di quello che siamo.

    Perché alla fine, solo quando ci rompiamo scopriamo di cosa siamo fatti.

    Massimo Franco
    Massimo Franco
    Articoli: 385

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